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domenica 3 gennaio 2016

Attentato al dialogo tra India e Pakistan (aggiornato)

Pathankot, venti chilometri dal confine pachistano, venti dal confine col Kashmir. E' qui che si trova una base aerea che ospita i caccia indiani che controllano le due aree per Delhi più sensibili nel subcontinente indiano. Ed è qui che ieri all'alba, verso le 3.30 ora locale, cinque guerriglieri travestiti da soldati, forse del gruppo estremista pachistano Jaish-e-Mohammad, hanno messo a rischio il neonato dialogo tra India e Pakistan assaltando la base dell'Indian Air Force. Aver ragione di loro non è stato facile e ha richiesto più di mezza giornata. Poi, alle 7.45 di ieri sera, il ministro dell'Interno Rajnath Singh ha confermato che tutti e cinque gli assalitori erano stati uccisi. Con loro tre soldati (quattro ieri secondo la stampa pachistana che confermava anche tre vittime civili.  Stamane il bilancio sarebbe salito a sette militari indiani uccisi). Operazione conclusa (in realtà per niente: il 4 la crisi entrava nel suo terzo giorno).

Nawaz Sharif: condanna immediata
Attacchi della guerriglia prokashmira non sono inusuali in India (il JeM è un gruppo nato proprio per riunificare sotto la bandiera di Islamabad il Kashmir ora diviso tra le due nazioni) e nel luglio scorso sette uomini erano stati uccisi in un attacco simile in una stazione di polizia del vicino distretto di Gurdaspur. Ma questa volta in ballo c'era una posta ben più grossa che non una semplice azione di disturbo e non solo per l'importanza strategico militare della base. Solo qualche giorno fa, il 25 dicembre, il premier indiano Narendra Modi ha fatto una visita “a sorpresa” in Pakistan, atterrando a Lahore dopo un viaggio in Russia e in Afghanistan. Non una visita qualunque ma la prima di un premier indiano in oltre dieci anni. E Nawaz Sharif l'ha ricevuto col tappeto rosso. La visita “a sorpresa” era evidentemente preparata da tempo ma in discreto silenzio benché ci fossero stati alcuni segnali (Nawaz Sharif era stato in India per l'insediamento di Modi e recentemente è stato siglato un accordo importante che regola questioni logistiche tra i due Paesi). Ma è anche vero che, oltre alla mai risolta questione del Kashmir, i pachistani sono infastiditi dall'influenza che Delhi ha guadagnato a Kabul e da accordi con gli Stati Uniti che permettono all'India vantaggi sul piano del nucleare; gli indiani accusano il Pakistan di terrorismo di Stato e, negli ultimi tre anni, sono ricominciati gli incidenti alla frontiera: meno noti degli attentati terroristici o delle dispute sulla Loc (la linea di controllo in Kashmir tra India e Pakistan) hanno continuato a ripetersi con vittime dalle due parti, anche tra i civili. Dunque la visita ha acquistato una rilevanza quasi impensabile e forse la “sorpresa” era per evitare che i falchi dalle due parti della frontiera potessero intralciare l'ennesimo tentativo di riavvicinamento (purtroppo non il primo e al netto di almeno quattro conflitti maggiori e diversi incidenti minori tra i due Paesi che hanno spesso tirato l'acqua al mulino di una nuova guerra).

Questa volta però le reazioni immediate di Islamabad e Delhi fanno ben sperare. Nel pomeriggio di ieri – e in perfetta sintonia temporale - il Bjp, il partito di Modi, ha fatto sapere che il dialogo appena avviato non può certo essere messo in crisi da un attentato e ha anzi accusato chi nel Congresso intende politicizzare l'incidente di Pathankot. Contemporaneamente arrivava un comunicato ufficiale di Islamabad, che univa alle condoglianze per le vittime una dura condanna dell'accaduto. La preoccupazione è dunque dalle due parti ed è condivisa da chi guarda con attenzione ai rapporti tra i due colossi nucleari. Come il vice segretario di Stato americano Antony Blinken che ha confidato a The Indian Express i timori di un possibile conflitto non intenzionale ma innescato da incidenti come quello di Pathankot. La corda resta tesa ma non si è spezzata.

aggiornato alle 11 del 3/1

mercoledì 11 febbraio 2015

La rivincita di Kejri, lo schiaffo al Bjp, la sonora sconfitta del Congresso

I risultati finali della tornata elettorale per l'amministrazione del territorio della capitale sono andati assai più in là delle già rosee previsioni degli exit pool. Il responso finale delle urne di New Delhi da’ infatti una maggioranza blindata all'Aam Aadmi Party (Aap) di Arvind “Kejri” Kejriwal che, dopo un anno di amministrazione controllata, guadagna il governo della capitale. Ma la vera notizia è un altra: se è stupefacente che l'Aap abbia guadagnato la quasi totalità dei 70 seggi dell'Assemblea della capitale (67, ne aveva 28), il Bharatiya Janata Party (Bjp) – il partito nazionalista e identitario del premier Narendra Modi uscito vittorioso dalle politiche dall'anno scorso – riceve uno schiaffo elettorale che segna in modo inequivocabile una battuta d'arresto della sua affermazione nel Paese, che potrebbe avere ripercussioni su altre elezioni in altri Stati: passa da 31 a 3 seggi. Ma fa una fine ancora peggiore il Partito del Congresso (Indian National Congress) di Sonia Gandhi che, almeno a Delhi, sparisce completamente dalla scena politica (nessun seggio, ne aveva 8).

martedì 10 febbraio 2015

Valanga Kejriwal

I dati forniti dagli exit pool avevano attribuito  tra 39 e 48 seggi al partito anti corruzione (Aap), seguito con 33 dal partito di Modi (Bjp). Sbagliavano per difetto nel pimo caso, per eccesso di abbondanza nel secondo. Col 67% dei 13 milioni di aventi diritto che hanno messo la scheda nell'urna, i voti dano la capitale al partito Aam Aadmi Party (Aap) di Arvind “Kejri” Kejriwal. E se è clamoroso l'Aap abbia guadagnato la quasi totalità dei 70 seggi dell'Assemblea  passa da 31 a 3 seggi! Ma la fine peggiore la fa l'Indian National Congress che, almeno a Delhi, sparisce completamente dalla scena politica (nessun seggio). Modi ha fatto buon viso a cattivo gioco: è stato il primo a congratularsi con  Kejriwal e ha promesso il pieno sostegno del governo centrale. Attualmente però il suo partito non riesce nemmeno a essere opposizione. Per farlo occorrono almeno sette seggi e il Bjp non arriva alla metà. Si vedra'.


domenica 8 febbraio 2015

Delhi exit pools: Kejriwal ancora vittoriso. La lezione del "Grillo" indiano

Anche questa volta l'Aam Aadmi Party di Arvind Kerjwal ce l'avrebbe fatta nelle elezioni per il rinnovo dell'Assemblea della capitale, il mini stato dall'Unione senza governo da un anno esatto (Kerjiwal si dimise il 14 febbraio 2014). I dati messi assieme da diverse fonti e riportati da The Hindu dicono che gli exit pools delle elezioni di sabato attribuirebbero tra 39 e 48 seggi al partito anti corruzione (Aam) sui 70 in palio, seguito dal partito del premier Narendra Modi (Bjp) che nelle scorse elezioni (2013) era invece arrivato con un ottima posizione ma non tale da permettergli di formare  il governo della città-stato. Il Congresso, già decimato nella passata tornata (ma col cui contributo Kejriwal aveva potuto avere la maggioranza e fare un governo) esce a pezzi. Altissima l-affluenza al 67%.