C'era una volta la Rivoluzione d'Ottobre. E in occasione del centennale della rivoluzione russa, dal 7 al 10 novembre si terrà a Torino, nel Campus Luigi Einaudi, il convegno internazionale Dopo la Rivoluzione. Strategie di sopravvivenza in Russia dopo il 1917, organizzato dall'associazione Memorial Italia e dall'Università degli Studi di Torino
Il tema del Convegno*
La rivoluzione russa: difficile dire quando è iniziata, quando è finita, e di cosa si è trattato. Il centennale dell'ottobre 1917 diventa occasione per rileggere i fatti di allora rispettandone la complessità e per osservarli con punti di vista differenti. Crisi, rivoluzioni e controrivoluzioni, ritorno all'ordine, caos, fame e violenze si intrecciarono per un lungo periodo, quantomeno dalla prima guerra mondiale agli anni '50. Proprio per discutere e riflettere su aspetti significativi di questo periodo storico, l'associazione Memorial, che in Russia opera per la difesa dei diritti, e l'Università degli Studi di Torino organizzano il convegno internazionale Dopo la rivoluzione. Strategie di sopravvivenza in Russia dopo il 1917 che si terrà a Torino, dal 7 al 10 novembre, nel Campus Luigi Einaudi. Non quindi una commemorazione, ma una riflessione con cent'anni di distacco dalla rivoluzione.
Il convegno è diviso in due parti. Nella prima si affrontano in modo del tutto innovativo gli eventi della rivoluzione; lo studio della guerra civile sul territorio dell'ex-Impero russo ci spiega quanto il paese fosse lontano dagli avvenimenti della rivoluzione: il partito, le discussioni rivoluzionarie, l'organizzazione politica operaia. Nelle periferie dell'Impero la rivoluzione arriva come crollo dello stato, bande armate, fame. La formazione dell'URSS poggia sulla riconquista militare del territorio, sull'imposizione di una dittatura militare-politica, sulla repressione di ogni istanza autonomista e di ogni richiesta di elezioni.
La seconda parte del convegno è dedicata alla sopravvivenza della cultura e al suo rapporto complesso con la rivoluzione. Interverranno studiosi italiani e stranieri, che esamineranno le conseguenze del 1917 da diversi punti di vista, complementari e variegati, a testimonianza della complessità e della varietà di suggestioni intellettuali e culturali del periodo.
Per approfondire questi temi e confrontarsi con studiosi italiani e stranieri appuntamento a Torino dal 7 al 10 novembre nel Campus Luigi Einaudi.
* Riproduco qui la scheda di invito
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lunedì 6 novembre 2017
venerdì 1 aprile 2011
LA CAPACITA' DI PRESTARE ORECCHIO
Ascoltare le voci che provengono dal basso dovrebbe forse diventare uno dei nuovi strumenti della diplomazia moderna soprattutto se, com'è successo a Kabul, tra quei 150 delegati non c'erano soltanto le solite tre o quattro Ong che parlano il dialetto convenzionale dei summit ma i rappresentanti di associazioni e sindacati (ebbene si, ci sono anche in Afghanistan), fondazioni culturali e think tank nazionali (ebbene si, ci sono anche quelli), club di poeti e leghe di avvocati e giornalisti. Se dunque per società civile si intende non una semplice accozzaglia di sigle ma un insieme di idee e di vivacità che, sorprendentemente, animano anche un panorama sociale devastato da trent'anni di guerra, forse è bene prestare orecchio.
Questo genere di presenze, questo tipo di attori, questa razza disomogenea e vivace è qualcosa in più della semplice “generazione facebook” con cui abbiamo derubricato le rivoluzioni del Maghreb e del mondo arabo, che non solo non abbiamo visto arrivare ma che stentiamo a capire. La nostra diplomazia, i nostri governi, buona parte dei media, abituati al fatto che “ormai tutto si decide a quattr'occhi nei G20 o nei G2”, a questo mormorio non prestano orecchio col risultato che quando accade qualcosa non conosciamo gli interlocutori, ci sfuggono i motivi, non sappiamo nulla di quel mondo sommerso che ci pare sia comparso sul web come d'incanto.
L'istruzione sempre più diffusa, masse di neo laureati che entrano in mercati del lavoro asfittici, cittadini che malsopportano regimi autocratici o falsamente democratici, fanno di questo mormorio una lenta marea montante che, apparentemente in modo improvviso, fa saltare pentole e coperchi di fronte alle facce stupite di ambasciatori e analisti, ministri e sottosegretari, algidi funzionari delle più svariate commissioni. Eppure il mormorio, nelle strade del Cairo o di Kabul, nei vicoli di Avenue Bourghiba o dietro ai centri commerciali di Manama, si sarà pur sentito. E' difficile prevedere una rivoluzione e sarebbe anzi più augurabile che le turbolenze pre rivoluzionarie fossero percepite da un ascolto attento che le trasformi in un dialogo aperto anziché in movimento antagonista. E spesso è solo questione di ascoltare. Ma per farlo bisogna scendere in strada. Ai piani alti certi mormorii proprio non arrivano.
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