Lontani dagli occhi e soprattutto dal cuore di un pianeta che per
più di dieci anni ha seguito le peripezie di un Paese ormai entrato
nella categoria dell'oblio, sette milioni di afgani sono andati
sabato a votare al secondo turno delle presidenziali per scegliere
chi sostituirà l'inossidabile Hamid Karzai, giunto forse al termine
della sua perigliosa avventura politica. La capitale appariva sabato
più deserta che in un giorno di festa: vietata la circolazione,
negozi serrati e, sorprendentemente, una corsa di primo mattino alle
urne per intingere l'indice nell'inchiostro indelebile e firmare così
la scheda. «Per
le presidenziali non c'è un limite di seggio – spiega Timur, uno
dei protagonisti della scena culturale locale – e quindi, per
evitare lunghe code, tutti di buon'ora sono andati al seggio più
vicino».
Le
notizie sull'affluenza restano vaghe: chi dice che era
fisiologicamente inferiore al primo turno, chi sostiene un pareggio,
chi azzarda un sorpasso di quel 60% che aveva fatto del voto di
aprile un primo successo con tanto di indice esibito per dire: «L'ho
fatto».
Si dovrà attendere il 2 luglio per le prime proiezioni e il 22 –
se non più in là – per sapere se la sfida è stata vinta dal
medico di Ahmad Shah Massud, Abdullah Abdullah, o dal raffinato
Ashraf Ghani, un passato di buone letture e una permanenza alla Banca
mondiale. Le ipotesi si sprecano.
Non
mi dice per chi ha votato la giovane Sahar, certo è che «al primo
turno ho scelto Abdullah perché, anche se rifiuto le divisioni
etniche, mi pareva giusto che per una volta il potere passasse dai
soliti pashtun ai tagichi». Ma poi, chissà, forse ha cambiato
idea. Ghani è convincente e meno nervoso di Abdullah che, quasi
certo della vittoria, ora mostra segni di irrequietezza. Lo dimostra
la sua richiesta di far
fuori Zia-ul Haq Amarkhel, primo segretario alla Commissione
elettorale (Iec) retta da Ahmad Nuristani che ha
subito respinto al mittente le accuse di frode mosse dal candidato di
quella che era l'Alleanza del Nord, che diede manforte agli americani
nell'invasione del 2001.
Alla
Commissione che vaglia le rimostranze (Ecc) sono già arrivate oltre
550 contestazioni e altre ne arriveranno. La maggior parte, spiegano
all'Ecc, non riguarda i funzionari elettorali che però registrano
oltre 140 segnalazioni. Si vedrà, un lungo lavoro per dimostrare –
agli afgani e alla comunità internazionale – che questa volta le
elezioni sono state una cosa seria. Vero, non vero? Un analista
locale sogghigna: «Ricordate le percentuali di Rassoul (ex ministro
di Karzai e suo “cavallo” elettorale) al primo turno? Di
quell'11%, almeno il 5% eran voti fraudolenti. Il che dimostra che
Karzai gode di un consenso del 6%...». Vero e non vero, molti si
chiedono cosa farà Karzai, vinca uno o vinca l'altro. Ahmad Joyenda,
ex parlamentare e ascoltato analista politico che cavalca i dibattiti
in tv, è sicuro: «L'epoca di Karzai è chiusa. Si certo, chiunque
vinca gli porterà rispetto e forse gli verrà anche affidato qualche
ruolo rappresentativo ma nulla più». I suoi due fratelli, a buon
conto, hanno scelto uno Abdullah e l'altro Ghani. I maligni dicono
che l'appoggio a Ghani si volesse barattare con la chiusura del
dossier Kabul Bank (scandalo finanziario che ha coinvolto uno dei
fratelli del presidente) e lo scranno della Camera di commercio.
Ashraf avrebbe detto no. Abdullah, chissà, forse è stato più
propenso a promettere «come ha fatto con altre centinaia di persone
cui ha ventilato un posto al sole», chiosa un afgano ben introdotto
nelle cose di palazzo.
Ashraf
Ghani nervosismo non ne mostra. Abile nel passare da un abito
all'altro, ora col copricapo caro ai pashtun, ora con una mise che lo
fa assomigliare a Ghandi, incarna forse meglio la possibilità di un
cambio di passo: «Se vince- aggiunge Joyenda - sceglierà dei
professionisti. E farà subito tre cose: metterà mano al Bsa
(l'accordo di partenariato strategico con gli Usa che Karzai non ha
firmato ndr) e studierà come negoziare coi talebani,
scegliendo un afgano rispettato che sia però percepito come super
partes. Infine l'economia. Può farcela anche perché Ghani piace a
voi occidentali. Piace a chi chiede trasparenza».
Chiunque
vinca dovrà comunque pagare dazio a diversi convitati, più o meno
di pietra, più o meno nell'ombra. Abdullah ha come vicepresidente
Mohaqeq, mullah oltranzista con un passato funesto durante la guerra
civile. Poi ci sono i “suoi” del Nord che chiederanno garanzie.
Infine Sayyaf, altro mullah con passato insanguinato, che potrebbe
avergli passato il 7% guadagnato al primo turno. E Ghani? Con lui c'è
il generale Dostum, che quanto a record criminali durante la guerra è
uno dei più quotati anche se si è pubblicamente scusato. Ma c'è
anche un dazio “buono” da pagare ai secolaristi, agli ex
comunisti, alla sinistra. Che ha scelto Ghani anche se ufficialmente
non si può dire.
Nessun commento:
Posta un commento