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domenica 7 maggio 2017

“Peccato mortale sfruttare il lavoro ”

Il Papa incontra i giovani studenti delle “Scuole per la pace” e prende posizione sulla guerra e le sue cause. “I governanti? Solo parole. Attenti ai terroristi delle chiacchiere”

Alla fine ci sta pure una battuta: “I governi e gli impegni dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite sullo sviluppo? Non lo dico da papa ma lo dico con la grande Mina: parole, parole, parole”. La platea dell’Auditorium Paolo VI in Vaticano ride e si spella le mani. Sono soprattutto studenti, settemila, arrivati un po' da tutta Italia. Fan parte di un progetto iniziato tre anni fa dalla Tavola della pace d’intesa con il Miur e promosso dal Coordinamento degli Enti Locali per la Pace, la Rete Nazionale delle Scuole di Pace e un altra decina di sigle tra cui la Regione Friuli Venezia Giulia e i Giovani Musulmani d’Italia. I ragazzi, dalle medie al liceo, han lavorato in questi anni sul tema della guerra: informandosi, interrogandosi e anche suggerendo soluzioni. L'ultima, uscita da una media di Udine giorni fa, quella di istituire un”ora di pace” a scuola, come si fa con quella di religione.

Bergoglio, uomo attento allo spirito ma anche al corpo degli uomini, accetta di incontrarli e di rispondere alle domande di Maria, Michele, Luca, Costanza su conflitti, violenza, discriminazione. Su quest'ultimo punto cita lo scontro tra Macron e Le Pen come pessimo esempio di “non ascolto” ma la stoccata c'è anche per i Salvini di turno, anche se il papa nomi non ne fa mai: “Ci sono persone che usano le parole per discriminare e ferire: li chiamo terroristi delle chiacchiere”. Sulla guerra, dramma del mondo, l'accusa è soprattutto al traffico d'armi, arte in cui, come ci ha appena ricordato Rete Disarmo, l'Italia eccelle. E a proposito di bombe non risparmia Trump: ”Han chiamato quell'ordigno la madre di tutte le bombe. Ma una madre dona vita, quella regala morte. Ho provato vergogna”. Ma se c'è chi traffica in armi e chi traffica in droga, avverte Bergoglio, c'è chi traffica anche in esseri umani e non solo permettendo le stragi nel Mediterraneo: “C'è chi sfrutta il lavoro altrui e non solo in luoghi lontani: lo si fa qui, in Europa, in Italia. Lo si fa pagando chi lavora in nero e con assunzioni stagionali, per evitare la continuità. Questo sfruttamento è, per noi cattolici, peccato mortale”.

Nessun pontefice si era spinto così lontano, difendendo, in un certo senso, anche l'ormai sepolto articolo 18. E se Bergoglio condanna ritualmente il “Dio denaro” - come ogni papa ha sempre fatto - questa volta il monito non è solo ai mercanti nel tempio. E i diritti dei lavoratori, nel giorno in cui nella stessa città si manifesta per difenderli, diventano nelle parole di Francesco un elemento che non è avulso dal discorso sulla pace. I ragazzi sono commossi e con loro sindaci, amministratori locali e professori. 162 insegnanti gli consegnano un piccolo manuale di linee guida sull'educazione alla pace. Il Papa apprezza. I ragazzi applaudono. Fuori, un timido sole scaccia la pioggia.


A destra "Mina" Anna Maria Mazzini, cantante famosa anche in Argentina. "Parole Parole" era la  sigla finale di Teatro10 con Alberto Lupo nel 1972

Sopra: la GBU-43 Massive Ordnance Air Blast bomb (MOAB)

domenica 21 febbraio 2016

Libia/Italia: un intervento da evitare

Dopo il recentissimo raid americano nel Nord della Libia lo spettro della guerra si avvicina. Ma quali sono gli obiettivi di una missione spacciata per lotta a Daesh e quali i pericoli di un intervento militare? Sono le domande che si è fatto un gruppo di lavoro di ricercatori e analisti che hanno presentato ieri al Centro Balducci di Zugliano (Udine) un dossier al convegno ““Conoscere e spiegare le guerre dei nostri giorni” organizzato dalla Regione Friuli Venezia Giulia e dalla Tavola della pace.

L'Italia – dice in sintesi il documento - corre un grosso rischio in caso di intervento in Libia: il quadro politico locale resta confuso, la catena di comando è incerta, le incognite e le variabili sono numerose, la possibilità di perdita di vite umane sul terreno e tra la forza militare internazionale è molto elevata, le alleanze infine fanno riferimento a obiettivi e agende differenti. Il dossier analizza il quadro attuale e - al di là di considerazioni etiche o ideologiche – cerca di capire in che contesto si muoverebbe un eventuale intervento militare, agitato da mesi come spettro ed elemento di pressione e da molti ritenuto imminente anche attraverso azioni mirate unilaterali (di cui abbiamo appena avuto un assaggio ndr) in un contesto dove non è ancora chiaro né chi avrebbe in mano le redini della catena di comando né quale sarebbe il ruolo dell'Italia.

mercoledì 13 gennaio 2016

Compleanni: i vent'anni della Tavola della pace

La Tavola della pace, quel collettivo di uomini e donne che ogni anno organizzano la marcia Perugia Assisi e che continuano a preoccuparsi dei diritti di tutti, compie vent'anni. 20 anni. Il compleanno lo ha festeggiato a Senigallia  qualche giorno fa dove aveva organizzato un percorso formativo sui conflitti per docenti della scuola secondaria (previsti 150 ma arrivati in 250!). La Tavola ha avuto, specie in tempi recenti, momenti difficili e sopratutto li ha avuti il suo referente storico, Flavio Lotti, accusato persino di aver distratto fondi! Lui - e la gente che tutti i giorni gli dà una mano come sua moglie Randa o Emanuela o Ivetta e tanti altri - è finito a un certo punto nella macchina del fango dopo aver scelto di candidarsi alle politiche (improvvidamente forse ma solo - in realtà -  perché non è stato eletto e in politica perdere diventa subito un peccato di superbia). Tant'è, quel periodo è forse alle spalle. Molti non lo hanno mai abbandonato, altri adesso sono meno concentrati su di lui, altri ancora - saggiamente - preferiscono mettere una pietra sopra a una vicenda triste che ha diviso ancora di più il movimento per la pace. La Tavola adesso continua comunque ad andare avanti e in un processo che coinvolge enti locali, scuole, associazioni di base, cattoliche e non, cittadini senza sigle.

A Kabul con la bandiera della pace sulla collina
che sovrasta la capitale afgana
Per quel che mi riguarda sono da diversi anni un suo sostenitore pur essendo un laico impenitente. Durante le mie battaglie per l'Afghanistan, la Tavola non ha mai mancato di fornirmi aiuto e sostegno e non posso dimenticarlo. Con una decina fra loro andammo a Kabul a sventolare, sulla città martire, la bandiera multicolore. E' ovviamente la cosa che ricordo con maggior commozione. Ma al di là dell'Afghanistan ne condivido gli obiettivi generali e mi pace far parte di questa comunità allargata che rappresenta specificità diverse. Per saperne di più posto qui un link che fa un po' la storia della Tavola. Una storia in divenire ovviamente.
Come Senigallia, nel week end appena trascorso, ha ampiamente dimostrato.


Leggere: Com’è nata la Tavola della pace

A Senigallia con la bandiera della pace qualche giorno fa. Sullo sfondo la famosa rotonda dove si è tenuto il meeting




venerdì 15 maggio 2015

A lezione di pace dagli studenti di liceo

Karim Franceschi è quel ragazzo di Senigallia (a destra nella foto tratta da Vanity Fair) che è partito per Kobane qualche mese fa a combattere contro lo Stato islamico, dunque per una buona causa. Ma, mi chiedo: forse che, a modo loro, anche i giovani musulmani non vanno a combattere con l'Is pensando di aderire a una buona causa e di far guerra al male? Alcuni di loro infatti, se ne sono andati schifati dopo aver visto esecuzioni e dittature ideologiche di vario tipo. Io un'idea me la sono fatta ma mi sarebbe piaciuto sapere cosa ne pensano  i ragazzi dell'età di Francesco. L'occasione è arrivata qualche settimana fa a Udine in occasione di una bellissima tre giorni di dibattiti, non solo in grandi aule e teatri della città, ma fin dentro le trincee della Grande Guerra: un evento che ha portato nel capoluogo del Fvg circa 3500 studenti da 68 città e 15 regioni italiane per ragionare della guerra e di come poterne uscire. Incontri e  laboratori con docenti, studiosi ed esperti della  materia e con un “meeting di pace nelle trincee della Grande Guerra” (giornata conclusiva che dava il titolo all'evento) che non era pensata come una visita guidata alle memorie del conflitto ma come luogo evocativo per riflettere sul grande massacro che purtroppo, seppur con piccole guerre, continua.

sabato 18 aprile 2015

Se in trincea si parla di pace

La prossima settimana a Ginevra, il Consiglio dell'Onu per idiritti umani, l'erede della vecchia “Commissione”, dovrebbe discutere del progetto di inserire tra i diritti fondamentali dell'uomo quello …alla pace. Condizionale d'obbligo perché la querelle dura da anni e alcuni Paesi han sempre posto il veto su un diritto che, se acquisito, potrebbe in caso di conflitto trascinare chi lo tradisce davanti alla corte penale dell'Aja.

Da ieri il Consiglio dovrà fare i conti anche con un appello in più affinché il diritto alla pace diventi una prerogativa del genere umano come quello alla salute o alla libertà: un appello che arriva da Udine, città nota per essere considerata la “capitale della Grande Guerra”, di cui si “celebra” tra un mese il centenario (nel conflitto che uccise venti milioni di persone l'Italia entrò il 24 maggio 2015). La città, che nelle parole del sindaco Furio Honsell ripudia volentieri quella funerea nomea proponendosi adesso come «capitale nazionale della pace», si candida proprio a essere uno degli avamposti del diritto alla pace, che in questi giorni si celebra – quello sì volentieri – con un evento che ha portato nel capoluogo circa 3500 studenti da 68 città e 15 regioni italiane che da giovedi a sabato hanno ragionato e ragionano della guerra e di come poterne uscire. Lo fanno in modo del tutto particolare. Ieri con una serie di incontri laboratorio con docenti, studiosi ed esperti della triste materia e oggi con un “meeting di pace nelle trincee della Grande Guerra” (giornata che dà il titolo all'evento) che non è una visita guidata alle memorie del conflitto ma l'idea di utilizzare un luogo evocativo per riflettere sul grande massacro da cui forse presero spunto i molti altri che hanno avvelenato il secolo breve.

domenica 19 ottobre 2014

Perugia-Assisi: la marcia, le polemiche e una storia di altri tempi

Mi trovo ad Assisi ad aspettare che - 53 anni dopo la prima - i marciatori della 40ma Marcia della pace arrivino da Perugia dove son partiti stamane alle 9. Come molti sanno la marcia di quest'anno è stata funestata da diversi distinguo quando non da vere e proprie prese di distanza (Agesci, Movimento nonviolento etc). Nondimeno la marcia conta su 873 adesioni: 117 scuole, 277 enti locali, 479 associazioni di cui 80 sono nazionali. Partecipano 526 città, tutte le Regioni italiane e 97 Province.

Aldo Capitini, il Gandhi italiano, grande
ispiratore della Perugia-Assisi. Sotto la prima
bandkiera della pace portata alla marcia
A vedere il bicchiere mezzo vuoto (polemiche, distinguo, dissociazioni) si fa presto. Quello pieno conta invece con le adesioni ma anche con un piccolo aneddoto che vorrei riferire. Proprio ieri dicevo a Goffredo Fofi, uno dei grandi protagonisti della cultura italiana (eravamo al Salone dell'Editoria sociale, bella iniziativa tra gli altri de GliAsini e de Lo Straniero), e gli dicevo della mia imminente partenza per l'Umbria. Lui alza le spalle, sbuffa e poi mi racconta: “Ero con Capitini quando si diede inizio alla prima marcia (il 24settembre 1961 ndr) ma tre anni dopo ne presi le distanze quando capii che il Pci ci voleva mettere il cappello e non era proprio quello lo spirito della Perugia Assisi. Così io e altri due decidemmo di organizzare una contromarcia Assisi Perugia che poi però non realizzammo. Volevamo andare incontro alla Perugia Assisi con dei cartelli e dire che la vera marcia eravamo noi”. Difficile mettere il guinzaglio a Goffredo Fofi.

martedì 27 novembre 2012

DDL DI PAOLA / ADOTTA UN PARLAMENTARE E DAGLI UN CONSIGLIO

Se non vi piace il progetto di riforma delle forze armate, il cosiddetto "Ddl Di Paola", potete anche girarvi dall'altra parte. Oppure informarvi (ad esempio qui o qui) e magari far sapere ai parlamentari che esprimono un parere in merito come la pensate voi cittadini. E' un modo urbano di fare opposizione politica dal basso. La Tavola della pace e diverse altre organizzazioni e associazioni, propongono un facsimile di lettera che posto qui sotto:

Egregio Sig. Deputato,

Le scrivo per chiedere il Suo impegno personale contro l’approvazione del disegno di legge delega di revisione dello strumento militare presentato dal ministro della Difesa Giampaolo Di Paola. Il DDL Di Paola non riduce ma aumenta la spesa pubblica; taglia il personale per comperare i cacciabombardieri F35 e altre armi; trasforma le Forze Armate in uno strumento da guerre ad alta intensità incompatibile con l’articolo 11 della Costituzione; costringerà i comuni alluvionati o colpiti da una catastrofe naturale a pagare il conto dell’intervento dei militari; non prevede alcuna cancellazione degli sprechi e dei privilegi né una vera riqualificazione della spesa militare; impegna 230 miliardi per i prossimi 12 anni senza aumentare di un solo grado la nostra sicurezza. Mentre si tagliano i servizi alle persone e agli enti locali che li devono fornire e milioni di famiglie non ce la fanno più, Le chiedo di cambiare questa legge delega e di avviare una seria riforma delle forze armate coerente con una nuova idea di sicurezza e una nuova visione del ruolo dell’Italia in Europa e nel mondo e compatibile con le possibilità economiche del Paese.

In attesa di un suo riscontro, Le invio i più cordiali saluti.

Questi gli indirizzi mail (si desumono dall'elenco del Parlamento ma vi facilito il lavoro) dei parlamentari della Commissione Difesa della Camera

cirielli_e@camera.it, chiappori_g@camera.it, garofani_f@camera.it, mogherini_f@camera.it, moles_g@camera.it, ascierto_f@camera.it, barba_v@camera.it, beltrandi_m@camera.it, bosi_f@camera.it, calearo_m@camera.it, cannella_p@camera.it, cicu_s@camera.it, deangelis_m@camera.it, distanislao_a@camera.it, dozzo_g@camera.it, farina_g@camera.it, fioroni_g@camera.it, fontana_g@camera.it, giacomelli_a@camera.it, gidoni_f@camera.it, holzmann_g@camera.it, laforgia_a@camera.it, lagana_m@camera.it, letta_e@camera.it, lombardo_a@camera.it, marcazzan_p@camera.it, martino_a@camera.it, mazzoni_r@camera.it, migliavacca_m@camera.it, molgora_d@camera.it, paglia_g@camera.it, petrenga_g@camera.it, pisacane_m@camera.it, porfida_a@camera.it, recchia_p@camera.it, rigoni_a@camera.it, rosato_e@camera.it, rossi_l@camera.it, ruben_a@camera.it, rugghia_a@camera.it, sammarco_g@camera.it, speciale_r@camera.it, tanoni_i@camera.it, villecco_r@camera.it

Questi gli indirizzi dei Presidenti dei Gruppi sempre alla Camera

dellavedova_b@camera.it, borghesi_a@camera.it, dozzo_g@camera.it, franceschini_d@camera.it, cicchitto_f@camera.it, moffa_s@camera.it, galletti_g@camera.it, brugger_s@camera.it

Io ne ho mandata una anche fini_g@camera.it. Posto anche una bella immagine di un F-35 per rinfrescarvi la memoria

giovedì 1 marzo 2012

NON CHIUDETE QUELLE SEDI (APRITENE SEMMAI DI NUOVE)

Tanto per cambiare la Rai il risparmio aziendale lo vuol fare sulla qualità e sui servizi dall'estero.

E' un po' più che un dispiacere o una semplice miopia. E' qualcosa che pagheremmo a caro prezzo. Grazie a un'iniziativa della tavola della pace però...

Leggi il resoconto su Lettera22

sabato 18 febbraio 2012

LA SIRIA E LA POLEMICA NEL MOVIMENTO PACIFISTA

Alla vigilia della manifestazione di Roma sulla Siria organizzata per domani dalConsiglio Nazionale Siriano, con l'appoggio della parte più coinsistente del movimento pacifista, un gruppo di associazioni si dissocia e polemizza: sarà una nuova "guerra umanitaria"

Tutto è cominciato con un messaggio di Flavio Lotti il 10 febbraio scorso che invitava il pacifismo italiano ad aderire a una manifestazione, domenica prossima a Roma, indetta dalla sezione italiana del Consiglio Nazionale Siriano (Cns), importante gruppo – forse il più noto – dell'opposizione al regime di Assad. Lotti, coordinatore della Tavola della pace, spiegava che la situazione è circondata da un'informazione che spesso diventa “strumento di guerra” ma che se “abbiamo bisogno di capire, riflettere, discutere” è anche necessario “agire”. Alla manifestazione hanno aderito i gruppi più importanti del movimento: Libera, Articolo21, Cgil, Arci, Acli, Beati, Terra del Fuoco e molti altri.

Nelle stesse ore, una sessantina di associazioni non meno pacifiste, capeggiate da Peacelink, una delle più antiche formazioni arcobaleno italiane, diffondeva un Appello nel quale, citando “una crescente campagna mediatica spesso basata su resoconti parziali e non verificabili”, chiedeva all'Onu di “agire immediatamente per fermare ogni tentativo di intervento militare straniero contro la Siria e di favorire una vera mediazione”. Apparentemente le cose non sembrano in contraddizione ma solo qualche giorno dopo i distinguo sono venuti alla luce.

Con una “Lettera aperta” sul 19 febbraio” una decina di associazioni e reti (tra cui Peacelink ovviamente ma anche Ong importanti come “Un ponte per”) si sono dissociate “nettamente dalla manifestazione indetta dal Cns” non potendo “condividere le ragioni di quanti aderiscono a quella piattaforma”. Il motivo è il rifiuto del rischio di “un'altra guerra 'umanitaria' che, come in Libia, sotto la pretesa di proteggere i civili ha scatenato invece la ferocia dei bombardamenti”. I firmatari ritengono poi che il contestatissimo veto di Russia e Cina alla risoluzione Onu del 4 febbraio abbia scongiurato questa “minaccia”. Spaccatura insomma: gli uni per evitare di essere al solito accusati di stare zitti (“Dove sono i pacifisti”? è il refrein di chi li detesta), gli altri per il timore che un eccesso di pressione finisca a tradursi in un ennesimo conflitto.

Sul banco degli imputati c'è il Cns...(segue)

Leggi tutto su Lettera22 o su Il FattoOnline

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sabato 3 dicembre 2011

COSA CHIEDONO "AFGANA", TAVOLA E RETE DISARMO


Afgana”, Tavola della pace e Rete Italiana per il Disarmo per la riconversione della spesa militare e per un negoziato tra governo e società civile. Per decidere come sostenere la ricostruzione in Afghanistan


L'appuntamento di Bonn

A dieci anni dalla Conferenza di Bonn che nel 2001 varò la nascita del "nuovo Afghanistan" sotto tutela internazionale, il prossimo 5 dicembre i leader di 90 Paesi si ritroveranno in Germania a fare il punto sui risultati ottenuti in questi due lustri. Il giudizio della società civile italiana ed europea, di recente espresso in un documento comune reso pubblico a metà novembre*, non è lo stesso che presumibilmente verrà enunciato a Bonn, sede nella quale si corre il rischio di far apparire le luci assai più forti delle ombre.

Nell'Afghanistan di oggi, soltanto il settore dell'istruzione ha fatto passi avanti significativi. Sul fronte della sicurezza per gli afgani la situazione è peggiorata, a fronte di un processo negoziale che non sembra procedere e che manca di mediatori credibili (una figura terza tra governo e  talebani che sia garanzia di una mediazione autonoma). Ogni anno il conflitto produce quasi tremila  vittime civili (2777 nel 2010 con un aumento del 15% e con 1500 persone uccise nei primi sei mesi del 2011) e la politica dei bombardamenti indiscriminati (altrimenti tradotti come "mirati") sembra ancora essere la scelta preferita da Isaf/Nato, nonostante i ripetuti richiami dello stesso governo Karzai. Benché sia infatti diminuito l'uso della guerra dall'aria, il numero dei civili uccisi dalle forze pro-governative (esercito afgano e NATO) è diminuito solo del 9% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. E, sebbene le persone che rimangono uccise da azioni ed attentati delle forze anti-governative rappresentino l'80% dei morti, le donne, gli uomini e i bambini uccisi in raid della NATO e in azioni delle forze afgane sono ancora il 14% del totale: i circa 300 raid notturni condotti ogni mese continuano inoltre a seminare paura, distruzione, morte, sfiducia e rabbia nella popolazione. 

La situazione

Sul fronte dei diritti di base, l'accesso all'acqua potabile e all'elettricità resta, specie nella campagne, ancora a livelli minimi e la possibilità di accedere a servizi di sanità pubblica, in un Paese che si sta pericolosamente avviando verso la privatizzazione del servizio e che il rapporto sullo Sviluppo umano dell'Onu ha classificato al 147 posto tra i Paesi con le performances peggiori, resta privilegio di pochi (un bambino su cinque continua a morire prima del compimento del quinto anno di età). Quanto alla condizione della donna, sbandierata come uno dei grandi successi assieme alla diffusione dei media e di una nuova indubitabile crescita della coscienza dei propri diritti, meno del 15% delle donne afgane sono alfabetizzate mentre l'87% fra loro è oggetto di diversi tipi di abuso (matrimoni combinati, violenza sessuale etc) tra le pareti domestiche.

Proprio questa condizione del Paese impone dunque un vasto ripensamento del mondo in cui finora sono state utilizzate le risorse impegnate dalla comunità internazionale in Afghanistan. Mediamente il 90% di queste risorse sono andate a sostenere l'intervento militare e solo il 10% (per l'Italia anche meno) è stato impiegato in progetti di cooperazione civile; di questa somma inoltre, oltre un terzo è stato speso per garantire la "sicurezza" al progetto stesso. Infine il completamento del ritiro della forza militare entro il 2014, come Bonn dovrebbe definitivamente sancire, corrisponde alla percezione generale, largamente diffusa tra gli afgani e tra le agenzie umanitarie, che la transizione possa trasformarsi nell'abbandono di un Paese che invece richiede ancora sforzi per la ricostruzione e il rafforzamento delle conquiste sul piano dei diritti umani e  sociali.

La proposta

Per questo motivo la rete italiana di Afgana, la Tavola della pace e la Rete Italiana per il Disarmo, chiedono al parlamento italiano che, a partire dall'inizio del ritiro del contingente italiano, per ogni euro risparmiato per le spese della missione militare, 30 centesimi vengano stanziati per interventi di cooperazione civile. Che in sostanza, una volta avviato il ritiro del contingente militare nel 2012, sia destinato il 30% di quanto risparmiato nella spesa militare a investimenti di cooperazione civile. Chiediamo infine che anche le modalità di intervento e di spesa siano concordate in un forum tra il titolare dei fondi civili (il ministero degli Esteri) e la società civile e che il parlamento si impegni a rendersi garante delle scelte operative che ne emergeranno.


Si veda il dossier: Bonn conference: joint position paper of European Ngo's and Civil Society. International Afghanistan Conference, December 2011, Bonn: 
Priorities for Action

venerdì 2 dicembre 2011

AFGHANISTAN, IL 30% DELLA SPESA MILITARE IN COOPERAZIONE CIVILE


“Afgana”, Tavola della pace e Rete Disarmo per la riconversione del risparmio che deriverà dal ritiro delle truppe italiane

La rete della società civile italiana « Afgana», col sostegno della Tavola della pace e della Rete Disarmo, chiede al parlamento italiano che, una volta avviato il ritiro del contingente militare, sia trasferito il 30% di quanto risparmiato nella spesa militare a investimenti di cooperazione civile. Chiede infine che anche le modalità di intervento e di spesa siano concordate in un forum tra il titolare dei fondi civili (il ministero degli Esteri) e la società civile e che il parlamento si impegni a rendersi garante delle scelte operative che ne emergeranno
Conferenza stampa
Venerdi 2 dicembre ore 12 Bibliothe, via Celsa 4/5 (Pza del Gesù)

Emanuele Giordana, Soraya Malek, Rete Afgana
Renato Sacco, Tavola della pace, Rete Disarmo

Sono stati invitati i parlamentari che maggiormente seguono l'Afghanistan

Bibliothe offrirà gentilmente un rinfresco a base di afghan palau e tè

Afgana
Tavola della pace
Rete Disarmo

venerdì 9 settembre 2011

OTTO PROPOSTE PER L'ITALIA

A dieci anni dall’11 settembre, una delegazione della Tavola della pace e dell’associazione americana dei familiari delle vittime dell’11 settembre Peaceful Tomorrows è andata a Kabul raccogliendo un punto di vista inedito: quello dei familiari delle vittime della guerra e del terrorismo e quello della società civile afgana. Vincendo mille paure, resistenze, pressioni e preoccupazioni, otto esponenti della società civile italiana e americana sono stati per cinque giorni nella capitale afgana cercando di capire cosa c’è di vero oltre la propaganda e la disinformazione, i luoghi comuni e i pregiudizi. E’ stata la prima volta per una delegazione ufficiale di pacifisti occidentali.

Oltre a dare voce alle preoccupazioni e alle domande raccolte a Kabul e tracciare un bilancio dei dieci anni di guerra che stiamo conducendo in Afghanistan, i partecipanti presentato una serie di proposte precise rivolte a tutte le forze politiche, al Parlamento e al governo italiano che rispondono alla domanda più difficile: e ora, cosa dobbiamo fare? Cosa deve fare l’Italia?

1. Riaprire finalmente il dibattito pubblico sul futuro dell’impegno italiano in Afghanistan;
2. contribuire alla messa a punto di una strategia della comunità internazionale per l’Afghanistan e l’intera regione non più basata sul paradigma della “sicurezza militare” ma quello della “sicurezza umana”;
3. definire immediatamente il piano per il ritiro del contingente militare italiano;
4. destinare almeno il trenta percento delle risorse risparmiate con il ritiro del contingente militare alla promozione della sicurezza umana in Afghanistan;
5. raccogliere la domanda pressante dei familiari delle vittime afgane della guerra e del terrorismo di riconoscimento, ascolto, giustizia, sostegno e risarcimento;
6. investire sulle organizzazioni democratiche della società civile afgana consentendogli di organizzarsi e rafforzarsi, promuovendo il loro riconoscimento politico a tutti i livelli, allargando il loro spazio d’azione, rafforzando la loro voce, sostenendo i loro programmi di riconciliazione dal basso, di difesa e promozione dei diritti umani e della democrazia, di formazione e informazione indipendente;
7. sollecitare una presenza non formale della società civile afgana e occidentale alla prossima Conferenza di Bonn;
8. sostenere la Conferenza regionale di Istanbul e di promuovere lo sviluppo della cooperazione economica nell’intera regione.

domenica 4 settembre 2011

IL VIAGGIO DI PAUL E L'11 SETTEMBRE

I numeri sono di una freddezza asettica e spesso nemmeno danno la dimensione della quantità reale. Ma soprattutto difficilmente riescono a veicolare il dolore. Quanto ne produce la morte di 2.421 persone, tanti sono i civili uccisi dalla guerra in Afghanistan nel 2010? La freddezza del numero acquista calore relativamente a qualcos'altro: e rispetto a 26,4 milioni di afgani, tanti si stima ne vivano qui, è un bilancio “minimo”. La diarrea ne uccide ogni anno di più. Ma se lo paragoniamo al dolore di una famiglia nel paese dove è più facile al mondo per una madre avere almeno un figlio morto? E poco conta se lo abbia ucciso un “Ied” talebano, una bomba della Nato o un proiettile dell'Ana, l'esercito afgano. La morte non ha sigle né acronimi.

Nel primo semestre di quest'anno – che già si profila come il peggiore – in Afghanistan sono morti 1.271 civili. Un aumento che all'ospedale di Emergency a Kabul Emanuele Nannini riassume così: “una linea retta in ascesa che va verso l'infinito...”. E' la guerra. Dopo dieci anni le vittime civili aumentano (così come quelle tra i soldati). Ai parenti non resta che quel dolore che, da lettori, rapidamente dimentichiamo passando a un'altra tabella, all'apparente neutralità delle percentuali, allo scarno successo sbandierato da un decremento del 64% in meno di morti e feriti causati da attacchi aerei.

Ieri pomeriggio a Kabul, a ricordare che dietro i numeri c'è il dolore, l'agonia delle famiglie, la perforazione infinita del sentimento, c'era un gruppo di italiani e americani che hanno incontrato i parenti delle vittime della guerra afgana. Una piccola cerimonia ma anche un gesto concreto: la prima delegazione di pacifisti europei (l'italiana Tavola della pace) che si azzarda a venire in Afghanistan per dare la propria solidarietà. E un coraggioso americano dell'associazione “September 11th Families for Peaceful Tomorrows.”, coraggioso due volte. Non solo perché non è facile venire a Kabul quando tutti te lo sconsigliano e c'è comunque sempre il rischio che ti succeda qualcosa, specie se hai quel passaporto. Ma anche perché nel suo paese, l'America, l'11 settembre viene ancora vissuto con un desiderio di vendetta da consumare e non come una data per cominciare a pensare che non è la guerra la soluzione al dolore.

Anche Paul
Arpaia, la cui cugina poliziotta è morta cercando di salvare i suoi concittadini nelle Torri gemelle, è partito dal dolore. Ma ha preferito trasferirlo in un segno d'altro tipo che non quello – la guerra – che trasforma la nostra sofferenza in quella di qualcun altro.



Anche su Terra

martedì 22 marzo 2011

LA NO FLY ZONE E LA MORTE DELLA POLITICA


Senza andare
ai tempi dell'Impero romano basterebbe la dichiarazione Balfour del 1917 per chiarire che un conto sono le carte scritte e un conto la loro interpretazione. Così che la risoluzione dell'Onu 1973 viene tirata in queste ore a destra e a sinistra (e non solo in senso figurato) come una coperta troppo stretta che cerca di coprire appunto le più diverse interpretazioni. Prendete ad esempio la lettura che ne fa il ministro degli Esteri britannico William Hague, secondo cui la 1973 autorizza la possibilità di attacchi contro Muhammar Gheddafi ( “...le cose consentite dipendono dai comportamenti, dalle circostanze...”) o la lettura più prudente dell'ammiraglio americano Mike Mullen secondo cui l'obiettivo della risoluzione non è la caduta del colonnello. O quanto vi ha letto la Lega araba, correttamente, ossia che un conto è proteggere i civili, un'altra bombardarli, posizione ripresa ieri dalla Tavola della pace (“...una cosa è la Risoluzione dell’Onu, un’altra è la sua applicazione. Una cosa è difendere i diritti umani, altra è scatenare una guerra....la Carta dell’Onu autorizza missioni militari, non qualsiasi missione militare...). Insomma lo spettro della guerra si aggira sui cieli libici e sulle cancellerie di mezzo mondo. E, giustamente, fa paura.

Quel che tutti si chiedono, forse un po' tardivamente, è cosa sta facendo la diplomazia. Abbiamo saputo che gli spagnoli hanno ascoltato dall'opposizione libica la richiesta di armi, che gli 007 si muovono ma non c'è molto altro. Ban Ki-moon agita la necessità (sacrosanta) di un cessate il fuoco ma, da varie capitali (come ahinoi quella italiana), già si spalleggia una presa in carico della consegna da parte della Nato, organizzazione regionale assai poco comunitaria e che non ha fornito ottime performance negli ultimi anni. La politica, assente, resta ostaggio ormai da troppi anni della soluzione militare ancorché il ricorso alle armi per fermare la guerra, negli ultimi anni, abbia semplicemente portato al suo prolungamento.

Il dramma di questo ennesimo conflitto è che la politica rischia di uscirne ancora sconfitta e che il buon risultato di una risoluzione condivisa (pur se con cinque astensioni) venga vanificato dalle troppe letture di un testo che a Parigi e Londra si legge in un modo e al Cairo o a Giacarta in un altro. Se l'obiettivo è la protezione dei civili, le operazioni di sorvolo dovrebbero essere mirate a non far alzare i caccia libici. Se invece (ma dov'è scritto?) l'obiettivo è cacciare Gheddafi o fulminarlo nel suo bunker allora è giusto bombardare Tripoli costi quel che costi. Su questa interpretazione che contiene una bella differenza e che centra in pieno la fragile frontiera tra l'ingerenza umanitaria e l'esportazione della democrazia sulla punta dei carri armati si gioca la credibilità delle istituzioni sovranazionali che ci siamo dati e forse ci offrono anche l'occasione di ripensarne ruolo e autorità. Ma sotto il fragore delle bombe che rischiano di mischiarsi alle urla delle vittime civili discutere diventa di ora in ora sempre più difficile.

martedì 11 maggio 2010

IL GENERALE E IL PACIFISTA


Che il generale Vincenzo Camporini, capo di stato maggiore della Difesa, vada nella sede di Libera, l'associazione contro le mafie di Don Ciotti, non è cosa che accada tutti i giorni. Ma c’è un’altra più importante notizia. Ci andrà per incontrare, alla vigilia della marcia Perugia-Assisi, il direttivo della Tavola della pace, l'associazione più nota tra i pacifisti italiani, quella che organizza da qualche lustro la camminata pacifista forse più nota al mondo. Il diavolo e l'acqua santa? Una provocazione? O semplicemente il segno che i tempi stanno cambiando?
Aver accettato l'invito dei pacifisti italiani, o almeno di una rappresentativa parte di quel mondo, indica che qualcosa è cambiato, che due mondi fino a ieri diversi e antagonisti si annusano e si vogliono conoscere. Quel che ne verrà fuori – se scontro o dialogo – si vedrà.

L'incontro di oggi è solo un segno dei tempi. Se i pacifisti italiani si interrogano sui militari, è evidente che anche i soldati non sono più quelli di un tempo. Lo rivela l'inchiesta che inizia con questo articolo.
Tutto è nato da uno zaino. Lo zaino di un soldato in partenza per l’Afghanistan. Lo aveva aperto davanti a noi in aeroporto per tirarne fuori guide, romanzi, saggi sul paese che stava per raggiungere in “missione di pace”. Quello zaino rompeva uno schema e cancellava uno stereotipo. Chi lo portava non era il militare rozzo e incolto che avevamo visto in tanti film di guerra, carne da macello e inconsapevole esecutore di scelte tragiche, inviato in un paese di cui non conosceva nulla....

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domenica 9 novembre 2008

IL COMPLEANNO DEI DIRITTI UMANI



Tanto per cominciare una marcia pacifica sulla Rai il 10 dicembre per i 60 anni della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Ma anche blocchi stradali organizzati da settimana prossima dal “No Dal Molin” a Vicenza. O l'iniziativa di leggere la Costituzione nelle scuole il 17 novembre, come annuncia Stefania Carreri dell'Unione degli studenti.
Sono le idee che vengono lanciate dall'Assemblea nazionale che “Tavola della pace”, “Libera” e “Strada Facendo” hanno tenuto ieri a Roma: occasione di incontro in cui associazioni e reti della società civile italiana hanno provato a “intrecciare percorsi”, partendo ognuno dalla propria esperienza sul territorio, e a suggerire una strategia per “tradurre in pratica il discorso sui diritti umani iniziando a scrivere insieme una nuova Agenda politica”. Ecco perché la Rai, “servizio pubblico che paghiamo – dice Flavio Lotti della Tavola – e da cui dunque possiamo pretendere che l'Agenda di cui si parla non sia solo quella dettata da una politica autoreferenziale”. Appuntamento su cui puntare anche per Roberto Natale, presidente del sindacato dei giornalisti (Fnsi), che lo ritiene una pressione importante per incidere “sull'Agenda stessa della comunicazione in Italia”.
Nonostante il significato della ricorrenza, proprio in Italia, il governo Berlusconi, “unico forse tra i paesi occidentali”, non ha dedicato nemmeno un appuntamento degno di questo nome alla giornata dei diritti umani che ne festeggia i 60 anni. Ricorrenze buone per essere tagliate dalla mannaia Tremonti. Ecco allora il presidio alla Rai per ricordare che esiste un pianeta pieno di “esseri zero, gente che non ha alcun diritto o che ha una cittadinanza di serie B”, a Milano, Roma o Palermo non meno che a Mogadiscio o a Bagdad.
L'incontro di Roma ha chiaramente sottolineato come il tema dei diritti universali (alla salute, all'educazione, a un'eguaglianza divenuta – dice il magistrato Livio Pepini – un “disvalore”) sia anche molto italiano, oltreché evidentemente dei luoghi della povertà o della guerra, da Kabul a Goma ((in proposito Lisa Clark ha riproposto il tema del disarmo ed Eugenio Melandri un appello sul Kivu che si può leggere su http://www.beati.org). Tonio Dell'Olio, di “Libera” invita allora a tirare fuori di nuovo le bandiere per appenderle ai balconi: “non solo quelle della pace – dice - ma quelle che volete, purché sventolino a ricordare non un solo pericolo (come fu la guerra in Iraq ndr) ma tutti i pericoli che corrono i nostri diritti”. Joli Ghibaudi, dell'iniziativa “Strada Facendo” ne cita uno, dalla sua diretta e recente esperienza, che fa rabbrividire: duecento rifugiati che, assistiti soltanto da un centro sociale, hanno a disposizione...due soli bagni. Un racconto che le fa tremare la voce.
Riunite nel cinema Aquila, dedicato a Tom Benetollo (il presidente dell'Arci morto nel 2004 e il cui ricordo è stato accolto da un applauso) e rinato dopo la confisca del bene alla banda della Magliana, associazioni e reti che si occupano a tutto campo dei diritti (precariato, immigrazione, disabilità, marginalità e così via) tentano insomma di ridar fiato a una società civile che in Italia è forse una delle maggiori risorse e ricchezze del paese.
Il 10 dicembre si ritroveranno a Piazza Mazzini cercando di esserci, dice ancora Lotti, “come persone che vogliono investire contro la sfiducia, la frantumazione, le contrapposizioni e gli orticelli”. Per essere davvero società civile “responsabile”.