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domenica 24 novembre 2013

LOYA JIRGA DICE "SI" AL PATTO BILATERALE CON GLI USA

Per i 2500 delegati della Loya Jirga, l'Afghanistan deve dare la sua approvazione al Security and Defense Cooperation agreement between the United States of America and the Islamic Republic of Afghanistan, il patto bilaterale strategico, poltico e militare che legherà per almeno dieci anni Kabul a Washingotn. Così, riferisce l'agenzia Pajhwok si stanno esprimendo  le cinquanta commissioni che hanno studiato e dibattuto l'accordo nei giorni scorsi. Diverse le sfumature, i distinguo, gli approfondimenti. E diversa l'attitudine sui tempi: entro sei settimane (cioè entro al fine dell'anno) o più in là, come vorrebbe il presidente Karzai secondo cui il Bsa, una volta approvata anche dal parlamento,deve essere sottoscritto dopo aprile, ossia dopo l'elezione presidenziale prevista tra cinque mesi.

Con un twitt, la giornalista della Bbc Karen Allen dice che il discorso finale di Karzai ha fissato un paletto: il patto sarà nullo se gli americani lo dovessero tradire entrando nella case degli afgani. Quanto alla tempistica, Karzai insiste: il patto deve essere firmato dal nuovo presidente eletto in aprile. Il presidente pone comunque tre condizioni per la firma del Bsa: le elezioni, l'impegno a evitare raid nelle case degli afani, passi avanti nel processo di pace. Le carte dunque sono ancora tutte sul tavolo.

Su un altro fronte intanto, la delegazione dell'Alto consiglio di pace afgano, incaricato

venerdì 22 novembre 2013

DRONI SUL PAKISTAN E SULLA LOYA JIRGA

I missili che ieri mattina hanno centrato le stanze di una madrasa nel distretto pachistano di Hangu, non hanno solo colpito un target in Pakistan e per di più fuori dalle cosiddette agenzie tribali. Quei missili sono caduti anche, seppur indirettamente, sulla Loya Jirga convenuta a Kabul su richiesta di Karzai e che deve dire la sua sul controverso accordo politico militare tra Usa e Afghanistan. La simmetria non è solo politica (il rischio che ciò che si fa in Pakistan si possa fare domani anche in Afghanistan). E' anche temporale poiché, mentre i droni colpivano Hangu, una delegazione afgana di alto profilo aveva già fatto le valige per Islamabad con l'incarico di concordare con le autorità pachistane futuri incontri con i capi talebani da poco usciti dalle prigioni del Pakistan (tra cui c'è l'ex numero 2 della shura di Quetta mullah Baradar). Obiettivo: negoziare la tortuosa strada del processo di pace. Tra l'altro, tra le vittime dei droni c'erano proprio dei capi talebani afgani. Ma andiamo con ordine.

giovedì 21 novembre 2013

TUTTI I NODI DEL BSA


Bsa è l'acronimo di Security and Defense Cooperation Agreement between the United States of America and the Islamic Republic of Afghanistan. Il documento, che in questi giorni deve essere approvato dalla Loya Jirga (o assemblea tribale) e che potete leggere (ultimo draft ufficiale) qui, deve definire l'accordo di partenariato politico e militare tra i due Paesi. Dopo il passaggio assembleare a Kabul, iniziato oggi in una grande tenda allestita nel cuore della città, toccherà poi al parlamento. I nodi irrisolti riguardano l'immunità dei soldati americani dalla giurisdizione dei tribunali afgani (si veda l'articolo 13 dell'accordo) ma anche cosa potranno o non potranno fare i soldati stellestrisce dopo il 2014, ossia determinare la loro possibilità di azione in autonomia(che gli States vogliono conservare). Infine Karzai aveva chiesto scuse ufficiali scritte da Obama per gli errori commessi in passato. Ma a quanto pare non se ne parla nemmeno. Sul piatto della bilancia ci sono, se il Bsa viene approvato, 4 miliardi di dollari e la permanenza di soldati americani in Afghanistan (10, forse 15mila) dopo il 2014 e fino al 2024, il che significa per Kabul poter contare su questo potente alleato in caso di attacco esterno. Se il Bsa non va in porto gli Usa lascerebbero (a malincuore) il Paese. Al fine la mediazione sarebbe passata per la rinuncia a raid americani in case private ma con l'accettazione del governo afgano sull'immunità. Adesso però tocca alla grande Jirga.

domenica 17 novembre 2013

LE BOMBE TALEBANE SUL BSA

La notizia di oggi è che il governatore di BalKh è sfuggito a un attentato suicida. Quella di ieri, che un'auto condotta da un kamikaze ha fatto una strage (almeno 10 morti) a Kabul. A pagare al solito i civili (il bilancio di Balkh è ancora incerto). Sono gli avvenimenti più eclatanti di un'attività che non si spegna ma che dimostra ancora una volta la debolezza politica dei talebani, ormai ridottisi a una pura attività terroristica con un impatto che, almeno nei due casi citati, può soltanto aver aumentato il numero di coloro che li detestano visto che è incontestabile l'aumento di vittime civili nelle loro azioni.

Quel che sembra mancare loro è la capacità di articolare una risposta politica complessa, segnatamente sul problema delle elezioni presidenziali, del negoziato di pace e soprattutto sull'oggetto del contendere che riguarda l'esplosione di Kabul nel luogo in cui sorge il tendone della Loya Jirga, che da settimana prossima dovrà decidere sul Bsa.

Bsa (l'intero titolo dell'agreement è Enduring Strategic Partnership Agreement between the Islamic Republic of Afghanistan and the United States of America) è l'acronimo che disegna l'accordo di parternariato politico e strategico-militare tra Washington e Kabul.

mercoledì 16 novembre 2011

LOYA JIRGA

E’ cominciata stamattina a Kabul, in un’atmosfera tesa e col timore di attentati talebani, la Loya Jirga, la grande assemblea tradizionale afgana, convocata per quattro giorni a Kabul dal presidente Karzai. La tensione è al calor bianco per due buoni motivi: le minacce dei talebani e le polemiche che la convocazione dell’assemblea ha provocato in parlamento e nell’opinione pubblica.

I talebani hanno iniziato con un attentato già lunedì. Il kamikaze non è riuscito ad entrare nel tendone allestito per ospitare gli oltre due mila inviati (ma non si sa bene con che criterio scelti) dalle 34 province del Paese, arrivati alla spicciolata in questi giorni nella capitale. Ma la guerriglia in turbante ha fatto di più: ha detto di avere in mano la pianta della sicurezza della kermesse, dunque tutti gli obiettivi sottomano. E ha minacciato di punire i “traditori” che vi prenderanno parte. Vera o falsa che sia la mappa, liquidata dal governo e dalla Nato come “propaganda” (ma tutti sanno che i talebani hanno spioni ovunque), la tensione è alta. All’ultima jirga di Kabul (Karzai ne ha già convocate due ma questa è la più importante) i guerriglieri hanno sparato razzi che hanno creato panico e fuggi fuggi e per miracolo non hanno colpito addirittura Karzai, già sfuggito a numerosi attentati.

Ma al di là del fattore strettamente militare, la jirga corre un rischio politico. Più della metà dei parlamentari sono contrari e un gran numero l’ha addirittura catalogata, per iscritto, come “incostituzionale”. La materia del contendere è non solo il fatto che l’agenda del summit è stata decisa solo da Karzai (con due punti all’ordine del giorno: il rapporto con gli americani e il processo di pace) ma che il governo ha più volte ribadito che si tratta di un puro atto consultivo. La Jirga non avrà insomma voce in capitolo: può al massimo consigliare il presidente. Un modo di fare che sembra riportare l’Afghanistan ai tempi della monarchia la quale, per altro, stava molto attenta a non alienarsi i capi tribali e non si sarebbe mai permessa di considerare la Loya Jirga poco più che un atto formale che non ha di fatto potere decisionale.

Al coro degli insoddisfatti in Parlamento (che si domandano che ruolo ha l’istituzione di cui fanno parte) e che già hanno criticato gli accordi tra Karzai e la Nato/Isaf, sostenendo che la presenza occidentale così com’è viola la sovranità nazionale, si sono unite anche le associazioni della società civile. Preoccupate di esser tagliate fuori dal processo decisionale, temono anche loro che la jirga sia poco più che una passerella che serve al presidente per farsi bello davanti alla comunità internazionale e per legittimare le sue decisioni. Su cui c’è nebbia. Cosa faranno gli americani dopo il 2014 (data entro la quale la “transizione” dei potersi sarà terminata)? Cosa farà la Nato? E il processo di pace che fine sta facendo? E quali sono i rapporti col Pakistan, su cui il presidente un giorno pensa una cosa e il giorno dopo ne dice un’altra?

Come se il clima non fosse già abbastanza avvelenato, l’uscita ieri di un sondaggio dell’Asia Foundation (considerato un think thank autorevole ma pur sempre grazie a finanziamenti americani) sostiene che l’appoggio ai talebani è in calo (e fin qui tutti sembrano essere d’accordo tranne loro) ma dice anche che il sostegno a Karzai conta su un’elevata fetta di popolazione: il 73 per cento degli afgani . Al Jazeera, che ha dato voce a chi si lamenta di quella che sembra più che una ricerca una manovra per dare forza a Karzai, ricordava un sondaggio Gallup della scorsa settimana secondo cui in Afghanistan il giudizio sulla qualità della vita mostra un 30 per cento di gente in sofferenza, il 7 per cento in più rispetto all’anno prima. Come sono allora possibili i numeri dell’Asia Foundation? La risposta sta nella chiave delle domande: se oltre l’80 per cento è a favore del processo negoziale (cioè vuole la pace) un’abile trasferimento dei dati finisce a tradursi in appoggio al governo. Ma la stagione che Karzai attraversa appare in realtà di tutt’altro segno.

martedì 15 novembre 2011

LA VIGILIA DELLA LOYA JIRGA

Il conto alla rovescia per la Conferenza di Bonn del 5 dicembre, a dieci anni da quella che nel 2011 sancì la nascita del “nuovo Afghanistan” di Karzai, è cominciato. Ma la tappa intermedia è già domani, quando 2030 delegati da 34 province si riuniranno nella Loya Jirga (Grande Assemblea), dove il protagonista sarà ancora Karzai. In vista di questi due appuntamenti, che seguono a ruota l'incontro di Istanbul organizzato da Ankara e Kabul all'inizio di novembre per disegnare un quadro di cooperazione regionale, tutti stanno (è il caso di dirlo) affilando le armi. Più o meno pacificamente.

In vista di Bonn lancia un appello una vasta coalizione di Ong e associazioni della società civile (tra cui l'italiana “Afgana”) che fanno capo alla rete dell'European Networkof NGO's in Afghanistan (Enna), preoccupata che “Bonn2”, come viene chiamata, si risolva in una passerella di buone intenzioni col compito di coprire il “tutti a casa” deciso dalla comunità internazionale che, oltre ai soldati, potrebbe ritirarsi definitivamente lasciando nel Paese solo i cocci di dieci anni il cui bilancio è più un fallimento che un successo. I talebani, in vista della Jirga del 16 novembre, hanno invece minacciato i partecipanti, considerati “traditori” e, per prendersi beffe di Karzai, ieri hanno fatto sapere di avere in mano la “mappa della sicurezza” dell'Assemblea.

Il governo ha respinto al mittente ma la guardia resta alta. anche perché all'ultima Jirga un paio di razzi avevano raggiunto la kermesse facendosi beffe di soldati e poliziotti. Quel che più preoccupa però è il vuoto politico che circonda quella che, ancora prima di Bonn, appare, più che un esercizio di democrazia “tribale” (le jirga è il luogo tradizionale del confronto) una passerella a uso e consumo del presidente che ha sentito l'obbligo di chiarire, giocando su un'interpretazione univoca del significato di jirga, che si tratta di un momento “consultivo”: consigli al governo che poi deciderà. La decisione finale in realtà è già presa, ma Karzai cerca un avallo al piano di cooperazione strategica con gli Stati Uniti, già santificato in diverse conferenze, che fissa al 2014 il termine per la transizione dei poteri e un appoggio indefinito degli americani che, non è chiaro in quale forma, resteranno. Aspetto controverso, perché il parlamento ha già criticato l'accordo tra il governo e la Nato, sostenendo che viola la sovranità nazionale. Infine l'altro argomento riguarda il processo di pace, su cui però non esiste nemmeno da parte di Karzai una linea chiara. Chissà se emergerà nei quattro giorni di discussione.

La Jirga rischia insomma di essere un fallimento: in parlamento Karzai è senza maggioranza e la società civile afgana, attraverso le sue diverse reti e associazioni, teme, al solito, che la jirga bypassi le sue richieste facendosi beffe dei pochi diritti faticosamente acquisiti (specie per le donne) e limitandosi a decidere quanto già deciso.

Il ruolo della società civile, in Afghanistan e durante Bonn, è il focus del documento delle Ong europee che temono il solito meccanismo di esclusione e orecchie da mercante sui timori che siano ignorate le richieste che vengano dal basso. A Bonn, come nella jirga, il rischio è che tutto sia deciso al chiuso di quattro pareti, senza meccanismi di verifica e senza che venga dato ascolto a chi in Afghanistan dovrebbe contare di più: i cittadini. Ma la richiesta più interessante di Enna riguarda il processo di pace: Bonn, dice il documento, dovrebbe indicare in che termini debba agire un mediatore di alto profilo. Proprio quello che manca a un negoziato di cui non si sa molto. E che, senza una figura terza riconosciuta dalle parti (compresa la società civile afgana), rischia di non andare da nessuna parte.