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venerdì 20 ottobre 2023

Isarele vs Gaza. Grazie per i talk show ma preferisco Paola


Su cose che non conosco ho bisogno di sentire persone di cui mi fido. Che siano competenti della materia e non solo frequentatori saltuari, e che siano posati nel giudizio, che non vogliano cioè trasformare una discussione in uno scontro a fuoco. Premesso che non ho la televisione, la formula dei talk show tv mi ha veramente stufato perché purtroppo mi pare che, salvo rare occasioni,  privilegi tuttologi e forcaioli. Sulla vicenda di Gaza mi sono fatto la mia idea ma se devo capirci qualcosa di più sento Paola Caridi, presidente di Lettera22 e che non è solo una vecchia amica. Competente? Dieci anni a Gerusalemme e due al Cairo e diversi libri al suo attivo. L'ultimo uscito in America con l'aggiunta di due nuovi capitoli e di cui posto la copertina.

Oggi fa una lunga riflessione che consiglio il cui tema centrale sono i civili. O forse meglio dire, gli esseri umani. Trattati come le pedine di un risiko che si gioca sulla pelle delle persone.

qui il video che ho postato sul mio canale youtube: clicca


martedì 2 luglio 2019

Bombe sul negoziato (e sui civili)

Zalmay Khalilzad:
il negoziatore
Mentre è appena iniziato il settimo round negoziale a Doha tra americani e talebani, la guerriglia in turbante si macchia dell’ennesima strage di civili a Kabul. Ieri mattina un’autobomba è scoppiata davanti a un centro logistico della Difesa afgana nell’area di Pul-e-Mahmood Khan, non lontana dalla cosiddetta zone verde della capitale. Le immagini mostrano un’enorme esplosione con una scia di fumo che non lascia dubbi sulla portata dell’attentato. Appena dopo lo scoppio, cinque uomini armati sono entrati nell’edificio a fianco ingaggiando una sparatoria con le forze di sicurezza che dopo circa sette ore ne hanno avuto ragione uccidendoli tutti. Ma il bilancio è pesantissimo e probabilmente in crescita visto l’alto numero di feriti – oltre un centinaio - tra cui una cinquantina di bambini. Secondo Al Jazeera il ministero dell’Interno avrebbe confermato ieri sera almeno 16 vittime. 200 persone sarebbero invece state messe in salvo dopo l’esplosione. I talebani hanno immediatamente rivendicato ammettendo di aver colpito anche dei civili ma specificando che l’obiettivo era militare. Nel pomeriggio a Kabul si è scatenata la rituale polemica sull’incapacità di prevenire questo genere di attentati che mettono a rischio la popolazione civile. Se dunque i talebani volevano in realtà colpire il governo e innescare polemiche interne, la loro bomba – evidentemente studiata anche per far pressione sui negoziatori americani di Doha – ha raggiunto sicuramente il risultato.

Benché ormai si negozi più o meno apertamente da oltre un anno e da alcuni mesi americani e talebani si siano incontrati più volte, concordando su qualche punto, la guerra in Afghanistan non si è fermata e la speranza di una tregua – chiesta a gran voce dalla società civile e dal Movimento dei marciatori di pace – resta un’illusione su cui si sperava il settimo round negoziale avrebbe battuto un colpo. Gli attentati con bombe si sono susseguiti negli ultimi mesi con ritmo incalzante senza risparmiare i civili. Il 31 di maggio – per ricordare i fatti più recenti – un'esplosione a Kabul ha ucciso quattro persone. Pochi giorni dopo, il 2 giugno, altre quattro bombe esplodono nella capitale. Il giorno dopo ancora, il 3 giugno, un'esplosione colpisce un autobus di impiegati governativi uccidendone cinque. E se la guerra colpisce la città, specie quando si vuole una cassa di risonanza internazionale, il conflitto continua nelle campagne e nei piccoli centri sebbene – magra consolazione – abbia causato meno vittime tra i civili nei primi sei mesi di quest'anno rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso: Secondo The Civilian Protection Advocacy Group 1.981 civili sono stati uccisi e feriti tra gennaio e giugno 2019 mentre il numero era 2.639 durante lo stesso periodo l'anno scorso. Secondo il rapporto, le vittime si sono notevolmente ridotte a giugno, con 63 morti e 134 feriti registrati durante il mese. Il declino viene attribuito al decrescere del numero di attacchi suicidi.
La guerriglia ora privilegia le bombe.

Oggi su il manifesto in edicola

domenica 3 dicembre 2017

L'escalation nella guerra infinita (e silenziosa)

Un Falcon F-16. I bombardamenti
in Afghanistan sono triplicati
La guerra infinita sta vivendo una nuova escalation purtroppo solo sotto gli occhi degli afgani. E’ stato Trump a dare il via libera a quella che sembra ormai - oggi assai più di ieri - completo appannaggio di generali e 007. Trump ha dato ascolto alle sirene più guerrafondaie del Pentagono e autorizzato la Cia ad estendere le sue operazioni segrete lasciando del tutto in secondo piano il lavoro dei suoi diplomatici, il cui unico mantra attuale è accusare il Pakistan di essere uno dei maggiori responsabili della guerra, blandendo l’India, ritenuta un contraltare chiave per osteggiare le mire di Islamabad. L’effetto appare per ora solo quello di imbaldanzire Delhi e deprimere Islamabad, i due fratelli-coltelli cui servirebbe un mediatore forte e non certo un colosso che prende le parti di uno solo dei contendenti.

Quanto alla guerra sul terreno, i dati parlano da soli: secondo fonti statunitensi citate dalla stampa afgana, al 31 ottobre di quest’anno l’aviazione americana avrebbe sganciato 3.554 bombe in Afghanistan contro le 1.337 dell’anno scorso e le “sole” 947 del 2015. L’Us Air Force ha dunque triplicato le operazioni dall’aria su obiettivi talebani o dello Stato islamico (compresa la madre di tutte le bombe, un ordigno da 11 tonnellate di esplosivo, sganciato l’aprile scorso). Al dato ufficiale va poi aggiunto il dato ufficioso: le operazioni coperte con droni dell’esercito e della Cia (che ora ha luce verde per bombardare anche in Afghanistan oltreché in Pakistan). L’effetto è per adesso quello di aver fatto salire almeno settimanalmente il numero delle vittime civili causate da bombardamenti chirurgici solo per definizione. L'ultimo (cinque morti tra cui tre bambini) è solo di qualche giorno fa. Ma c’è di più.

Il generale John Nicholson, diventato il vero (e praticamente l'unico) portavoce della guerra, non perde occasione per spiegare la nuova strategia americana che normalmente dovrebbe essere resa nota dal presidente o dal suo segretario di Stato. Nicholson, cui si deve sia la scelta di aumentare le truppe sul terreno, sia la nuova escalation di bombardamenti, ha spiegato anche che adesso nel mirino ci sono i laboratori che raffinano oppio e lo trasformano in eroina. Poiché i dati dicono che la produzione aumenta, Nicholson sembra aver deciso in completa autonomia che bisogna smetterla con la diversificazione della produzione – offrendo ai contadini incentivi per terminare di coltivare il redditizio papavero – ma che conviene bombardare. Una strategia che già si è dimostrata fallimentare sia in Afghanistan sia altrove (Colombia). L'ingegnoso generale ha anche informato l’opinione pubblica che non si perderà più tempo a incendiare i campi coltivati a papavero ma che le bombe punteranno direttamente sui laboratori.

lunedì 8 aprile 2013

SE A PAGARE SONO BAMBINI

Almeno dieci bambini e una donna sono morti ieri, domenica, nel distretto di Shigal (Kunar,) vittime di un bombardamento aereo di supporto a un'operazione congiunta Nato-afgana dove sono stati uccisi una decina di talebani ma, al solito, anche un certo numero di civili (ferite altre quattro donne). Karzai ha condannato l'episodio ma, se la memoria non ci tradisce, aveva detto ben altro dopo la strage del 13 febbraio scorso sempre nella stessa zona e dove un raid aereo aveva ammazzato dieci civili tra cui cinque bambini. Aveva detto che, per decreto, gli afgani non avrebbero mai più fatto ricorso al sostegno aereo della Nato. Certo, magari questa volta il sostegno aereo lo ha richiesto la Nato direttamente, ma ciò significa davvero scherzare col fuoco. Ed essere, caro presidente, poco credibili quando si alza la voce ma poi alle parole non seguono i fatti.

martedì 12 agosto 2008

LA STRAGE QUOTIDIANA DI VITTIME CIVILI



Il bollettino di ordinaria guerra guerreggiata in Afghanistan sta ormai entrando nella classica routine della quotidianità. Un soldato lettone è rimasto ucciso e altri tre suoi connazionali sono stati feriti nell'esplosione di un ordigno a Maiman, nel Nord del paese mentre un kamikaze si è fatto saltare in aria nel pomeriggio di eri nella parte orientale di Kabul, lanciandosi contro un gruppo di soldati della Nato e ferendone diversi. Brutti segnali di un'espansione della guerra a Nord, ai margini e dentro la capitale. Ma non sono queste le notizie peggiori della giornata di ieri e dei giorni precedenti: nel dare la caccia ai talebani le forze multinazionali hanno ucciso, tra sabato scorso e lunedì, oltre una ventina di civili. Spingendo le autorità afgane ad aprire un'inchiesta. Il sintomo che la sensibilità sulla moria di civili sta diventando uno dei nodi maggiori nel conflitto che infiamma il paese dell'Asia centrale.
Le notizie di ieri raccontavano di almeno otto civili uccisi nell'Afghanistan centrale in un bombardamento aereo condotto dalle forze della coalizione internazionale contro guerriglieri talebani. La zona è il distretto di Khas Urzugan della provincia di Urzgan, nel centro del Paese, dove un aereo, chiamato in soccorso delle truppe dell'Isaf-Nato che si trovavano in zona, ha bombardato un fabbricato. Secondo i militari dell'Alleanza l'areonautica non era a conoscenza della presenza di civili: "Insorti hanno usato edifici lungo la strada per operare diverse imboscate contro le truppe della coalizione prima di fuggire verso un villaggio vicino, dove hanno preso in ostaggio 11 civili, tra i quali vari bambini", recita il comunicato secondo cui i talebani avevano teso un'imboscata alle truppe della Nato che hanno di conseguenza richiesto appoggio aereo. Tre i civili sopravvissuti, venticinque i talebani uccisi. Uno a tre il rapporto tra civili e guerriglieri colpiti. Secondo il capo della polizia dell'Urzgan, Juma Gul, la responsabilità sarebbe comunque dei talebani che utilizzano i civili come ostaggi.
Un caso simile ma ancora coperto da mistero riguarda invece l'area di Tagab, nel distretto di Kapisa. L'inchiesta aperta dalle autorità afgane riguarderebbe le voci sulla morte di oltre una decina di civili e sul ferimento di altri 18 diffusesi domenica. Ma in questo caso non ci sono commenti ufficiali ne è chiara la dinamica dei fatti che si sono svolti sabato in un'area a una novantina di chilometri dalla capitale e che si trova a Est della grande base americana di Bagram. Non è chiaro se i morti si debbano alla coalizione a guida americana o alle forze della Nato o a un'operazione congiunta o se vi abbia partecipato anche l'esercito che fa capo a Karzai. Ma l'apertura dell'inchiesta e le scarse notizie a riguardo indicano quanto meno che la vicenda dei civili uccisi sta diventando il vero punto sensibile della guerra. Si cerca di farli apparire come ostaggi dei talebani o si evita di divulgare troppi chiarimenti. Ma è chiaro che l'uccisione dei civili sta diventando un'altra grossa falla nel consenso sempre più fragile che circonda il governo afgano e la presenza occidentale nel paese. Né sembra di cogliere un segnale di un cambio di strategia.
Secondo una ricostruzione della Reuters, sulla base di notizie raccolte da fonti ufficiali afgane e di agenzie umanitarie, sarebbero circa 400 i civili uccisi dall'inizio dell'anno dall'insieme delle forze che combattono i talebani.

Nella foto di Romano Martinis, aerei Nato in Afghanistan

martedì 20 maggio 2008

AFGHANISTAN, GLI INTERROGATIVI DELLA GIUSTIZIA E


Il caso di Parwiz Kambakhsh (nella foto) e la denuncia dello special rapporteur dell'Onu per l'Afghanistan, Philip Alston, che, alcuni giorni fa, ha denunciato la morte di almeno cinquecento civili, duecento dei quali per operativi militari di polizia, esercito afgano e forze multinazionali, e – questo il lato più oscuro – in operazioni extra giudiziali “coperte” e imputabili ai servizi segreti occidentali

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La giustizia torna ancora alla ribalta in Afghanistan. Con il caso del giovane giornalista condannato a morte per blasfemia e che settimana prossima si ripresenterà davanti alla corte d'appello di Kabul e con la denuncia dello special rapporteur dell'Onu per l'Afghanistan, Philip Alston, che, alcuni giorni fa, ha denunciato la morte di almeno cinquecento civili, duecento dei quali per operativi militari di polizia, esercito afgano e forze multinazionali, e per – questo il lato più oscuro – in operazioni extra giudiziali “coperte” e imputabili ai servizi segreti occidentali. Evidenze, subito rispedite al mittente dalla Nato, che per il professor Alston, minano sempre più il consenso degli afgani.
Il giudice della corte di appello di Kabul Abdul Salam Qazizada ha dato al giornalista afgano Parwiz Kambakhsh (nella foto) una settimana per preparare la sua difesa contro l'accusa di blasfemia che contempla la pena capitale. Non molto ma certo assai più dei tre minuti che, mesi fa, gli vennero concessi quando la prima udienza fu tenuta nel Nord del paese e gli fu comminata la pena di morte in prima istanza...

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