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giovedì 11 febbraio 2021

Myanmar la protesta si organizza e spunta il parlamento clandestino


Myat Thet Thet Khaing
Mentre la piazza è entrata ieri nel quinto giorno consecutivo di protesta e ha celebrato la prima vittima del neo regime militare, colpita alla testa a Naypyidaw da un proiettile, un parlamento autoproclamato - basato sul voto di novembre e ovviamente clandestino -  ha rinominato  Daw Aung San Suu Kyi per  un secondo mandato come Consigliere di Stato, sfidando la giunta che ha preso il potere il 1 febbraio  E’ la Lega nazionale per la democrazia (Lnd) che , che sebbene abbia i suoi leader in carcere, riconsegna il Paese alla Lady. Un parlamento de facto per una premier de facto, come DASSK (l’acronimo che la identifica) viene sempre chiamata poiché la Costituzione (voluta dai militari nel 2008) le impedisce di adire alle più alte cariche dello Stato. Nel contempo, secondo il Myanmar Times, si starebbe formando un team negoziale dell'opposizione al golpe, segnale interessante anche se non si sa se abbia già una controparte.

La gente torna dunque in piazza con la prima martire, una giovane di vent’anni di cui avevamo purtroppo anticipato ieri il decesso, confermatoci martedi da fonti locali: Myat Thet Thet Khaing, che oggi  avrebbe compiuto 21 anni, è stata colpita da un proiettile alla testa come ha confermato ieri al magazine birmano Irrawaddy un medico di  Naypyitaw che ha chiesto l'anonimato: confermandone la morte cerebrale, ha spiegato che il proiettile ha perforato il casco che indossava e si è conficcato nella testa da cui non poteva essere rimosso. I militari hanno tentato il suo trasferimento nelle loro strutture ma i medici l’hanno impedito. Aveva votato per la prima volta: Lega sicuramente, visto che portava una camicia rossa, colore della Lnd.  Il silenzio attorno alla notizia è  durato un giorno forse per un comprensibile riserbo per via che  la “morte cerebrale” non è ancora la morte di ogni cellula vitale. Ma quella giovane donna, “viva” finché attaccata a una macchina e con “la cessazione irreversibile di tutte le attività del cervello”,  è a tutti gli effetti  la prima vittima di un regime brutale che non ha esitato a sparare ad altezza d’uomo. La sua immagine sanguinante, virale sui social tra le braccia di chi le prestava il primo soccorso, era ieri già un manifesto esibito nelle manifestazioni che hanno interessato, più ancora che Yangon, soprattutto Naypyidaw e Mandalay. Con lei altri erano stati colpiti, di cui uno al petto in gravi condizioni.

In tutto il Paese proseguono intanto gli arresti dei manifestanti ma anche il loro rilascio (80 su 100 ieri a Mandalay per esempio) in un tira e molla ambiguo mentre aumenta l'attività delle squadracce legate al partito dei militari, continuano le defezioni di poliziotti e si estende la disobbedienza civile che ha già paralizzato anche il settore bancario. Tutta la schiera di funzionari della burocrazia pubblica è in fermento: il Consiglio (la giunta) minaccia o blandisce con bonus e aumenti salariali. 
Intanto l'ufficio dell’Onu in Myanmar ha chiesto alle forze di sicurezza di rispettare i diritti e le libertà fondamentali, compreso quello di riunione e la libertà di espressione. Gli Stati Uniti hanno ribadito il loro sostegno alla richiesta di ripristinare il governo eletto. Ma per ora i militari non cedono anche se cercano di “legalizzare” il golpe. Ad esempio con una nuova legge sulla sicurezza informatica che consenta loro di imporre chiusure – ora arbitrarie – su Rete e social. Vorrebbero un mega firewall in stile cinese per mettere a tacere anche chi usa la Vpn (Virtual Private Network che  consente reti private virtuali). Dovrebbero lavorarci proprio tecnici della Rpc che sarebbero arrivati in questi giorni in Myanmar per crearlo.

Questo articolo e' uscito anche su ilmanifesto

giovedì 12 marzo 2020

La Lega birmana per la democrazia perde contro i militari

La settimana di voto nel parlamento del Myanmar che deve decidere sugli emendamenti costituzionali presentati dal partito di maggioranza per limitare il peso dei militari (Tatmadaw) nel Paese si avvia a conclusione con un pessimo risultato.

Gli emendamenti principali (praticamente tutti quelli votati con l’esclusione di due di scarsa importanza) sono stati bocciati grazie a un sistema parlamentare bloccato che prevede una forte presenza di militari non eletti in parlamento in grado di esercitare una sorta di veto. Secondo gli osservatori anche le votazioni ancora mancanti arriveranno allo stesso risultato. In Myanmar si vota entro la fine del 2020.

Gli argomenti in discussione sono riassunti qui

lunedì 9 marzo 2020

Le difficili settimane di Aung San Suu Kyi

La settimana scorsa nel parlamento birmano c’è stata una dura battaglia per l’approvazione di una serie di emendamenti alla Costituzione voluti dalla Lega nazionale per la democrazia (Nld), il partito di Auyng San Suu Kyi che ha vinto le ultime elezioni. Ma prima o poi, forse anche questa settimana, si potrebbe decidere di votarli  e l’esito, nonostante la Lega abbia la maggioranza dei seggi (255 su 440), non è affatto scontato.

Il principale ostacolo alla riforma costituzionale è un diritto di fatto di veto esercitato dai militari ai quali la Costituzione riserva il 25 percento dei seggi del Parlamento. Ai sensi dell’articolo 436 della Costituzione (riformata anni fa dai militari), le modifiche proposte allo statuto richiedono l’approvazione di oltre il 75 percento dei legislatori, il che significa che nessun cambiamento è possibile senza l’approvazione dei militari che contano su 110 seggi di diritto e dunque sul 25% degli scranni.

La Lega ha il 58 percento dei seggi in Parlamento, i partiti delle minoranze – che sarebbero favorevoli – etniche l’11 percento. Ma oltre al 25% costituzionale i militari possono contare sui 30 voti del Partito dell’unità, solidarietà e sviluppo (Usdp, una loro emanazione) che aggiunge un altro 5%. La Lega vorrebbe modificare il requisito per l’approvazione di un emendamento della Carta  con i due terzi dei rappresentanti eletti, esclusi quindi quelli nominati militari.Inoltre  vorrebbe ridurre gradualmente la quota di seggi militari: dal 25 al 15 percento dopo le prossime elezioni in agenda quest’anno. Al 10 percento dopo il 2025 e al 5 percento dopo il 2030. Ma non è l’unico punto...

segue su atlanteguerre

venerdì 30 giugno 2017

Più truppe in Afghanistan: la Nato risponde signorsi

Non è  una novità quanto sta emergendo dal summit Nato a Bruxelles. Già sapevamo che gli Stati Uniti (che - ha detto il capo della Difesa Usa - vogliono "finire il lavoro") stanno decidendo l'invio di 3-5mila soldati in Afghanistan. E già sapevamo che la richiesta è stata fatta anche agli alleati, in via diretta o indiretta attraverso appunto la Nato. Sappiamo anche che l'Italia avrebbe in animo di mandare 100 soldati per aumentare il secondo contingente straniero numericamente più importante. Ma oggi veniamo a conoscenza del fatto che  gli americani non si accontenteranno di "centinaia" di soldatini a far da sostegno ai loro ma ne vogliono "migliaia". Quante migliaia? Sembra di capire che la richiesta sia per un numero più o meno equivalente alle scelte americane e dunque, probabilmente, attorno ai 4mila uomini. Attualmente la Nato ha 13mila soldati da 29 nazioni (gli italiani sono 1000). Forse si arriverebbe a 17mila. Gli americano di soldati ne hanno 8500 e dunque salirebbero a circa 13mila. In totale potremmo dunque avere entro la fine dell'anno un corpo di spedizione di circa 30mila soldati. Non sono i 130mila di alcuni anni fa ma è pur sempre un bell'impegno che si profila per altro del tutto inutile. Se la Nato non ha vinto la guerra con 130mila militari come spera di farlo con un quarto di quei soldati? Anche perché, vero o falso, la Nato dice che le truppe inviate non saranno "combat". Che ci vanno dunque a fare?

lunedì 2 dicembre 2013

AFGHANISTAN, LE DONNE MA ANCHE TUTTO IL RESTO



Il mio intervento al Seminario : Afghanistan 2014 - Bilancio e prospettive per le donne alla  Camera dei Deputati, nella Sala della Regina, organizzato dal Gruppo di contatto delle deputate italiane con le donne afgane e da ActionAid.

Ha aperto la prima sessione dei lavori per valutare progressi e criticità dal punto di vista delle istituzioni, la Vice Presidentee coordinatrice del Gruppo, Marina Sereni. Sono intervenute quindi la ministra degli Affari esteri, Emma Bonino e la vice ministra per gli Affari femminili dell'Afghanistan, Fawzia Habibi.

Ha coordinato i lavori l'inviata Rai Lucia Goracci.

Nel dibattito sono intervenute le componenti il Gruppo di contatto con le donne afghane, deputate Deborah Bergamini, Marta Grande, Marta Grande, Pia Elda Locatelli, Federica Mogherini e Gea Schirò e le deputate afghane Shukria Barakzai, Presidente della Commissione Difesa, Nilufar Ibrahimi, membro della Commissione Sanità, Attività Sportive, Giovani e Lavoro, Raihana Azad, membro della Commissione per la Società Civile, i Diritti Civili e le pari opportunità della Wolesi Jirga.

lunedì 22 luglio 2013

ANGELINO AFGANO (pensierino della sera)


Il ministro degli Affari interni del governo afgano, Mujtaba Patang, è stato sfiduciato dal parlamento di Kabul con 136 voti per la sua incapacità di provvedere adeguata sicurezza al Paese, un impegno assai più complesso di quello che si trova ad affrontare in Italia il ministro Angelino Alfano. Patang non si è presentato durante il voto di sfiducia, il ministro Alfano invece si ma ce l'ha fatta. La cosa singolare è che noi stiamo andando a dare lezioni di governance agli afgani. Le prendessimo invece da loro?

giovedì 11 aprile 2013

AFGHANISTAN, (BELLA) SORPRESA 5 STELLE

Battendo tutti i loro colleghi sul tempo, i parlamentari della Camera del Movimento5Stelle hanno preparato in gran fretta la loro prima mozione. E con grande (e piacevole) sorpresa di questo blog e, credo, di quanti hanno a cuore quel (con)dannato Paese, la prima mozione è dedicata all'Afghanistan.



Per quel che abbiamo potuto sapere la cosa è ben architettata, pensata e rigirata. Chi pensasse a un semplice e di pancia “Via le truppe dall'Afghanistan!” (come lo intendeva la Lega) rimarrà deluso. C'è un tentativo di analisi e una preoccupazione per il dopo 2014. E la scelta di puntare su quella guerra ormai archiviata come primo atto politico, bhe, a noi pare davvero una decisione encomiabile. La sottoscriveranno questa mozione gli altri gruppi? Avranno voglia di condividerla o faranno finta di nulla? Proporranno altre cose su una materia mai affrontata fino in fondo e in modo trasversale (le bombe, il reinvestimento della spesa militare....)?

A me pare un ottimo terreno di incontro e discussione. Distanti certo su altre cose, a mio avviso, Pd Sel e M5S potrebbero accordarsi per suggerire in futuro proprio una mozione congiunta. Ciò darebbe forza al quel possibile intergruppo parlamentare che è (forse) nato ieri su impulso di Giulio Marcon che ha convocato una riunione con le reti che hanno sostenuto la battaglia contro gli F-35 cui hanno partecipato associazioni e parlamentari, questi ultimi molto numerosi (di Sel, Pd e Cinque Stelle). Caro, vecchio Afghanistan, qualcuno si ricorda di te e non intende sacrificarti sull'altare dell'oblio e della realpolitk del taglio ministeriale per mancanza di fondi (che ovviamente si possono prelevare dal risparmio sulla spesa militare....)

martedì 11 dicembre 2012

APPROVATA LA LEGGE DI PAOLA

La legge di revisione delle Forze armate voluta dal ministro Di Paola è legge dello Stato. Blanda, durante il dibattito (unica eccezione Turco), l'opposizione del Pd che, ignorando le richieste della piazza (e di Vendola), ha votato a favore. Contro l'Idv, che si è battuto strenuamente (Di Stanislao). Tutti gli altri han detto si (295) salvo pochi contrari (25) in ordine sparso (Pezzotta, ad esempio, Terzo Polo), oppure (53) astenuti (Sarubbi Pd). E' il primo paradosso del Monti a fine corsa: il Pd vota a favore per responsabilità e la destra vota compatta, nonostante abbia appena bocciato il governo.
Tutto adesso è nelle mani del prossimo esecutivo e dei decreti attuativi su cui ci sono 60 giorni di tempo perché il futuro parlamento dica la sua.

Stamane a Roma c'è stato un sit in davanti a Montecitorio (a sinistra due scatti della manifestazione davanti alla Camera). Ma il ddl è passato a larghissima maggioranza ignorando la piazza

Il resoconto intero domani su Lettera22 e su il manifesto

martedì 27 novembre 2012

DDL DI PAOLA / ADOTTA UN PARLAMENTARE E DAGLI UN CONSIGLIO

Se non vi piace il progetto di riforma delle forze armate, il cosiddetto "Ddl Di Paola", potete anche girarvi dall'altra parte. Oppure informarvi (ad esempio qui o qui) e magari far sapere ai parlamentari che esprimono un parere in merito come la pensate voi cittadini. E' un modo urbano di fare opposizione politica dal basso. La Tavola della pace e diverse altre organizzazioni e associazioni, propongono un facsimile di lettera che posto qui sotto:

Egregio Sig. Deputato,

Le scrivo per chiedere il Suo impegno personale contro l’approvazione del disegno di legge delega di revisione dello strumento militare presentato dal ministro della Difesa Giampaolo Di Paola. Il DDL Di Paola non riduce ma aumenta la spesa pubblica; taglia il personale per comperare i cacciabombardieri F35 e altre armi; trasforma le Forze Armate in uno strumento da guerre ad alta intensità incompatibile con l’articolo 11 della Costituzione; costringerà i comuni alluvionati o colpiti da una catastrofe naturale a pagare il conto dell’intervento dei militari; non prevede alcuna cancellazione degli sprechi e dei privilegi né una vera riqualificazione della spesa militare; impegna 230 miliardi per i prossimi 12 anni senza aumentare di un solo grado la nostra sicurezza. Mentre si tagliano i servizi alle persone e agli enti locali che li devono fornire e milioni di famiglie non ce la fanno più, Le chiedo di cambiare questa legge delega e di avviare una seria riforma delle forze armate coerente con una nuova idea di sicurezza e una nuova visione del ruolo dell’Italia in Europa e nel mondo e compatibile con le possibilità economiche del Paese.

In attesa di un suo riscontro, Le invio i più cordiali saluti.

Questi gli indirizzi mail (si desumono dall'elenco del Parlamento ma vi facilito il lavoro) dei parlamentari della Commissione Difesa della Camera

cirielli_e@camera.it, chiappori_g@camera.it, garofani_f@camera.it, mogherini_f@camera.it, moles_g@camera.it, ascierto_f@camera.it, barba_v@camera.it, beltrandi_m@camera.it, bosi_f@camera.it, calearo_m@camera.it, cannella_p@camera.it, cicu_s@camera.it, deangelis_m@camera.it, distanislao_a@camera.it, dozzo_g@camera.it, farina_g@camera.it, fioroni_g@camera.it, fontana_g@camera.it, giacomelli_a@camera.it, gidoni_f@camera.it, holzmann_g@camera.it, laforgia_a@camera.it, lagana_m@camera.it, letta_e@camera.it, lombardo_a@camera.it, marcazzan_p@camera.it, martino_a@camera.it, mazzoni_r@camera.it, migliavacca_m@camera.it, molgora_d@camera.it, paglia_g@camera.it, petrenga_g@camera.it, pisacane_m@camera.it, porfida_a@camera.it, recchia_p@camera.it, rigoni_a@camera.it, rosato_e@camera.it, rossi_l@camera.it, ruben_a@camera.it, rugghia_a@camera.it, sammarco_g@camera.it, speciale_r@camera.it, tanoni_i@camera.it, villecco_r@camera.it

Questi gli indirizzi dei Presidenti dei Gruppi sempre alla Camera

dellavedova_b@camera.it, borghesi_a@camera.it, dozzo_g@camera.it, franceschini_d@camera.it, cicchitto_f@camera.it, moffa_s@camera.it, galletti_g@camera.it, brugger_s@camera.it

Io ne ho mandata una anche fini_g@camera.it. Posto anche una bella immagine di un F-35 per rinfrescarvi la memoria

martedì 13 novembre 2012

UNA DELEGAZIONE A ROMA

Una delegazione di rappresentanti di diverse reti della società civile afgana è a Roma per un tour di incontri con le istituzioni italiane per sostenere la collaborazione e sarà ricevuta dal sottosegretario agli Esteri, Staffan De Mistura e dal ministero per la Cooperazione e l'Integrazione. L'iniziativa è promossa da “Afgana”, la rete di associazioni, Organizzazioni non governative, sindacati, accademici e cittadini nata nel 2007 a Roma per la costruzione di percorsi condivisi e comuni tra le società civili dei due Paesi. Della delegazione fanno parte: Najiba Ayubi, giornalista e direttrice del “Killid Group”; Hamidullah Zazai, rappresentante di Mediothek, fondazione culturale afgana che promuove attività di formazione per giornalisti; l'ex parlamentare Mir Ahmad Joyenda; Rahman Hotaki della “Civil Societies Coordination Jirga” realtà fondata di recente che favorisce incontri tra diverse realtà della società civile afgana; Barialai Barialai Omarzay, inviato alla conferenza internazionale di Tokyo del luglio 2012; Frozan Mashal, responsabile delle “Reti femminili afgane”; Mohammad Saeed Niazi del “Civil Society Development Center” (CSDC), un centro di ricerca che organizza incontri tra diversi rappresentanti religiosi; Idrees Zaman, analista sui temi dello sviluppo e del ruolo della società civile nel processo di pace; Azizurrahman Rafiee, dell’“Afghan Civil Society Organization”. Martedì mattina la delegazione incontrerà i deputati della commissione Diritti Umani della Camera con la presenza tra gli altri del onorevole Furio Colombo, dell'onorevole Alfredo Mantica e dell'onorevole Augusto di Stanislao, nel pomeriggio gli onorevoli Federica Mongherini, della commissione Difesa della Camera dei deputati, e l'onorevole Francesco Tempestini della commissione Affari Esteri. Mercoledì ci sarà l'incontro con i rappresentanti della società civile italiana. Leggi tutto sul sito di Afgana

lunedì 16 luglio 2012

LE BOMBE A FARAH, IL SILENZIO A ROMA

Il comunicato della Rete Afgana

Secondo reiterate notizie di stampa che da oltre una settimana riportano di intense attività di bombardamento nella provincia afgana di Farah con i caccia Amx in forza al contingente italiano e dopo le reiterate conferme da parte di ufficiali e funzionari della Difesa, la rete della società civile italiana “Afgana” ritiene inspiegabile e inaccettabile il silenzio che circonda la vicenda. A quanto ci risulta infatti, nessuna forza politica ha finora preso ferma posizione o ha chiesto spiegazioni al ministro della Difesa e al governo stesso. Afgana chiede che questa attività cessi immediatamente e invita le forze politiche a esprimersi a riguardo.

A nostro avviso quanto avviene è assai grave in quanto l'attività di bombardamento è in netto contrasto con i caveat finora adottati nel rispetto del mandato costituzionale: appare come una decisione che, avendo completamente esautorato il parlamento italiano dalle sue prerogative, avrebbe, non si sa per quale via, concesso al titolare della Difesa di decidere di armare i caccia e di usarli per bombardare, a quanto risulta, da almeno sei mesi. Riteniamo che decisioni di questo tipo, prese in totale solitudine e senza alcun dibattito politico in parlamento, possano essere gravide di ricadute pericolose per l'immagine dell'Italia e la sicurezza stessa del contingente.

Ancor prima però, la nostra viva preoccupazione va alle possibili o potenziali vittime civili che, anche incidentalmente, possono essere causate da bombe del peso di 250 chilogrammi. Ci chiediamo anche se sia vera l'ipotesi che l'attuale titolare della Difesa aspiri a un posto di segretario generale della Nato, come riportato ieri da un organo di stampa, e quale sia la politica di un Paese che alla Conferenza dei donatori di Tokyo si è speso con vigore per i diritti delle donne e della società civile afgana e che, alla vigilia dell'uscita delle nostre truppe dal Paese, decide invece di mostrare i muscoli nel modo peggiore: armando i caccia.

domenica 8 luglio 2012

AFGHANISTAN, SE L'ITALIA E' BIFRONTE

Mi sono ripromesso di riferire del summit di Tokyo e lo farò. Ma intanto c'è, come dire, un'emergenza che viene dalla cronaca. Posto dunque il comunicato di "Afgana" sul summit ma anche su quanto avviene a Farah...

E' singolare che mentre a Tokyo l'Italia ha tenuto un altissimo profilo e si sia battuta come un leone per includere nella dichiarazione finale della Conferenza dei donatori un più preciso impegno della comunità internazionale a favore dei diritti delle donne, dei diritti umani e della società civile afgana, notizie di stampa di ieri e di oggi riferiscono che i caccia Amx italiani, ufficialmente impiegati per sola ricognizione, stanno bombardando la zona di Farah. Due novità di segno totalmente opposto nello stesso giorno, l'ultima della quali, proprio alla viglia del ritiro del nostro contingente, fa temere una pericolosa schizzofrenia del governo italiano che sta surrettiziamente cambiando il profilo della missione militare proprio mentre la nostra diplomazia sta cercando di dare un segnale preciso della posizione dell'Italia come attore primario nella ricostruzione e nello sviluppo dell'Afghanistan.


La rete Afgana, che ha sempre condannato l'uso dei bombardamenti da parte degli alleati Nato dell'Italia e a cui non risulta che vi sia alcun mandato parlamentare che abbia cambiato le regole d'ingaggio dei nostri aerei (idea lanciata ma poi ritirata dall'ex ministro Ignazio La Russa), chiede che le notizie di stampa vengano smentite o confermate ufficialmente dal ministro Giampaolo Di Paola. In questo secondo caso, che dimostrerebbe anche una totale incoerenza politica nella scelta dei tempi o, peggio, un'azione a lungo tenuta segreta, chiediamo che la vicenda sia oggetto di un dibattito parlamentare preciso che indichi se il ministero della Difesa può o meno autorizzare l'uso dei bombardamenti aerei, finora – a quanto si sapeva – mai utilizzati.


Afgana rileva invece che l'Italia ha tenuto a Tokyo una profilo molto preciso che indica una più profonda coscienza del governo italiano sul tema dei diritti, in particolare della condizione femminile, e del ruolo della società civile, in questo recependo pienamente anche indicazioni parlamentari. Al punto che il sottosegretario Staffan De Mistura, nel suo discorso durante la plenaria, era arrivato a minacciare il possibile ritiro della firma italiana dal documento finale se questo non avesse contenuto una relazione diretta tra il denaro con cui Roma si impegna finanziare Kabul e quanto Kabul fa e farà nel rispetto di questi temi. Una posizione molto apprezzata dalla delegazione di “Afgana” presente a Tokyo.


Afgana, come già sapete se seguite i miei post, è una rete della società civile italiana che comprende associazioni, Ong, sindacati, accademici, giornalisti e cittadini. E' nata nel 2007 e si occupa di sostenere la società civile afgana e di promuovere in Italia un più approfondito dibattito sull'Afghanistan

lunedì 11 giugno 2012

ACCORDO DI PATERNARIATO TRA KABUL E ROMA, QUELL'OSCURO OGGETTO DEL DESIDERIO

Si chiama "Ratifica ed esecuzione dell’Accordo sul partenariato e la cooperazione di
lungo periodo tra la Repubblica italiana e la Repubblica islamica dell’Afghanistan, fatto a Roma il 26 gennaio 2012
" che, sarà un caso, porta la data del mio compleanno (59 anni dopo!). E' il procedimento che converte in legge dello Stato un accordo bilaterale firmato da Stati, nello specifico tra Roma e Kabul. Il parere tecnico (soprattutto sulla copertura) si può leggere qui, mentre il testo dell'accordo di può (finalmente) leggere qui. Il parlamento non lo può modificare, ma è un'occasione per discutere, per non dimenticare quel Paese, per chiedere chiarimenti e suggerire indirizzi.

Dico "finalmente" perché è appunto dal 26 gennaio o giù di li che cerco di leggere questo benedetto documento. Per mesi ho cercato di averlo tra le mani chiedendo un favore a destra e a manca finché, fortunatamente, e segnalatomi da un amico che lavora alla Camera, l'oggetto del desiderio è apparso sul sito istituzionale di un ramo del parlamento. Ci volevano quasi sei mesi per renderlo di pubblico dominio?

Visto da Kabul, dove mi trovo a gustare le prime angurie e la stagione dei manghi (qui sconosciuti fino a qualche anno fa e che vengono dal Pakistan), non mi sembra un cattivo accordo. C'è la solita enfasi sulla sicurezza e sulla lotta al terrorismo, ma c'è anche un'apertura alla società civile locale e una promessa, anche se non quantificata, di investire nel settore civile, anche culturale, e in quello dei media, effettivamente un cavallo su cui merita puntare.

L'ho mostrato ai miei amici afgani dicendo loro che, come tutti gli accordi internazionali, può essere una buona base oppure un pezzo di carta da dimenticare pieno solo di buone intenzioni. Dipende na noi, e da loro naturalmente (ma un po' meno). Se son rose, insomma, fioriranno.
Come accade in questi giorni nei roseti sopravvissuti alla guerra e al modernismo nella capitale.

domenica 3 giugno 2012

QUALE RIFORMA PER LE FFAA

Come ha rilevato qualche giorno fa sulla’Unità Flavio Lotti, la presentazione in parlamento del disegno di legge sulla revisione della spesa militare, tutto fa fuor che le due cose che avrebbe dovuto mettere nero su bianco: definire chiaramente i tagli al bilancio delle Forze armate, che invece ne esce niente affatto ridotto ma semmai rafforzato, e definire quali obiettivi deve avere oggi un esercito “moderno”. Ecco perché il dibattito sulle operazioni in corso e sui conflitti nei quali l’Italia è coinvolta dovrebbe rientrare a pieno titolo nella discussione parlamentare di questi giorni. Sono un pezzo fondamentale di un processo di revisione, sia dal punto di vista del risparmio - e, soprattutto, sulla riconversione della spesa militare - sia sugli obiettivi e i compiti che i soldati sono chiamati a svolgere....


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